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“Scatola nera”, Telepass, telefoni: la paura del grande fratello

L’incessante sviluppo delle tecnologie satellitari, e le loro applicazioni alla vita quotidiana e all’uso dell’auto, fa tornare periodicamente d’attualità la questione storica sulla privacy. E solleva anche qualche critica…

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Nella seconda metà dei convulsi, incerti e, per certi versi, dimenticabili Anni Novanta, si consolidò rapidamente nella consapevolezza collettiva la conoscenza dei dispositivi antifurto satellitari. Proposti inizialmente su vetture particolari e alla portata di pochi, furono lanciati da alcuni operatori al “grande pubblico”: astute, innovative scelte commerciali sdoganarono definitivamente il dispositivo verso le masse, perdendo così quell’iniziale alone di esclusività. Passata la prima ondata di stupore, fu subito chiaro come quel magico dispositivo – che promette, e quasi sempre ci riesce, il ritrovamento dell’auto eventualmente rubata – aveva e ha una caratteristica particolare che, a molti, è sempre parsa una controindicazione. La possibilità di far sapere dove si trova il veicolo, anche senza l’esplicita volontà del proprietario, in tempo reale.

“L’antifurto satellitare? Sì, è comodo, ma mi secca che qualcuno sappia dove mi trovo”: questo, più o meno, il senso delle affermazioni esprimenti perplessità, sfiducia e diffidenza o, più prosaicamente, una precisa volontà di mantenere protetta la propria privacy. Concetti che periodicamente, un po’ come accade col mostro di Loch Ness, per esempio, tornano alla ribalta comune. Non solo con i sempre più diffusi antifurti satellitari ma anche, come vedremo, con altre tipologie di dispositivi installati a bordo delle autovetture.

L’ultima bordata contro la “scatola nera” – ovvero, il nome dell’apparato che le assicurazioni esigono a bordo dell’auto per applicare consistenti riduzioni tariffarie – viene dall’ANEIS (Associazione Nazionale Esperti Infortunistica Stradale), che la considera niente più che l’ennesima trovata ai danni dei consumatori. Vediamo perché. 

I pericoli: violazione della privacy e rischio di contestazioni infondate

Diverse Assicurazioni, come sappiamo, già da tempo propongono sconti a chi decide di sottoscrivere una polizza Rc auto: per poter usufruire di tali agevolazioni, l’assicurato deve applicare sulla propria auto un dispositivo satellitare (denominato “scatola nera”), che rileverà i chilometri percorsi e tutti i dati relativi alla guida, compresi i sinistri. Fin qui, tutto bene.  Anzi no, a sentire Luigi Cipriano, Presidente ANEIS: “Quella che apparentemente può sembrare un’iniziativa a favore dei consumatori, è in realtà l’ennesima trovata delle Assicurazioni. La raccolta dei dati, inviati via satellite a un database per l’archiviazione, permetterebbe alle compagnie assicurative di controllare il comportamento degli automobilisti, ma non solo, anche i percorsi, le ore, le velocità ecc. violando così quel diritto alla privacy che tutti rivendichiamo”. La critica di Cipriano è impietosa e senza appello: “Il dispositivo non servirà assolutamente a scongiurare le truffe, visto che un semplice dosso rallentatore viene segnalato come un crash: basterà quindi passarci sopra in velocità e in forte frenata, per simulare una bel tamponamento. Altro che scongiurare le truffe!”.

GPSCipriano mette sotto accusa anche la presunta imprecisione dello strumento, sostenendo poi che i dati raccolti non avranno alcuna utilità per la ricostruzione del sinistro. “La posizione del veicolo è rilevata con approssimazioni che vanno, secondo la bontà del segnale che arriva al satellite, da qualche metro a venti e più metri, e questo, se si pensa ad un incrocio, è addirittura fondamentale e non consente alcuna sicura valutazione”.

Ma è proprio tutto sbagliato, tutto da rifare, come diceva il grande Gino Bartali? Non esattamente: perché secondo Cipriano la scatola nera, un effetto garantito, lo avrebbe. Quello di sentirsi contestare eccessi di velocità in caso di sinistro, con il conseguente risparmio, ma solo per le compagnie, sull’importo del risarcimento. “Tutto ciò – spiega il Presidente ANEISa fronte di presunti “sconti” calcolati su premi di polizze liberi e non vincolati, e quindi di nessun valore, ben potendo la compagnia alzare a piacimento il costo iniziale della polizza per poi, operare il finto sconto, tornare al premio pieno normalmente praticato. Il tutto con piena pace delle associazioni dei consumatori che di questi argomenti ben poco ne sanno”.

Insomma, saremmo di fronte all’ennesimo sistema inventato dalle Assicurazioni per guadagnare, e risparmiare sui sinistri a danno degli automobilisti. Senza entrare nel merito delle valutazioni sopra esposte, notiamo però che è piuttosto strano come mai solo in Italia ci si sia spinti a una tale macchinosità di elucubrazione. Se fossimo diffidenti – e talvolta, lo siamo – potremmo ritenere che da parte dei periti assicurativi vi è il timore che la tecnologia possa sottrarre loro gran parte della necessità del loro operato. Vero è che di attacchi frontali, nel corso della loro storia, gli antifurti satellitari ne hanno subiti diversi, sostenuti inevitabilmente dalla secolare, innata paura della violazione della privacy. E non solo gli antifurti satellitari. 

Autostrada: la pago all’antica per non essere controllato

Telepass

Se ci rechiamo a un qualunque casello autostradale e ci fermassimo mezz’ora, un’ora al massimo, noteremmo non senza stupore come un numero consistente di auto – poco più della metà, a occhio e croce – non abbia il prezioso e utile dispositivo di esazione dinamica (il “Telepass”, per intenderci), e preferisca accodarsi nelle file dedicate al pagamento manuale, o con tessere bancomat o carta di credito. Noteremmo anche che, a dispetto di quello che potremmo immaginare, se molte utilitarie – anche con diversi anni di vita – hanno il Telepass, numerose auto di grossa cilindrata, prestigiose, spesso nuove, aspettino pazientemente il loro turno al casello tradizionale dove, magari, i guidatori non usano nemmeno il bancomat ma mettono mano al portafoglio e pagano in moneta. Una considerazione di ordine non solo culturale, ma sociale, che dimostra come l’italiano medio vede spesso nelle Istituzioni – così come nel sistema bancario – una sorta di “nemico” da combattere. E al nemico, meno sono le cose che gli si fanno sapere, meglio è. Quindi si preferisce pagare il pedaggio in contanti per evitare tracciamenti bancari di sorta, ci si convince – più o meno spontaneamente – che l’antifurto satellitare sia un vezzo superfluo “perché tanto, l’auto, te la rubano quando vogliono”, e ci si professa non avvezzi alle nuove tecnologie, ostentando l’ignoranza al loro uso (salvo poi svelare un’insospettabile abilità nel disattivare, ad esempio, l’antenna GPS dello smartphone, “perché così si consuma meno la batteria”). Si cerca, in pratica, di non farsi trovare, di non far sapere chi è, ed evitare qualsiasi coinvolgimento col sistema che permetta, a un immaginario e pervicace “Grande Fratello”, di conoscere i nostri spostamenti e le nostre preferenze. Le ragioni di questi comportamenti – codificabili, a prescindere dalle modalità, in una sorta di “rifiuto del controllo” – sono le più disparate, sebbene domini quella riconducibile alla tutela del proprio tempo libero, e alla voglia di difenderlo da invasioni di sorta, con un’attenzione ben maggiore a quella con cui, magari, evitiamo di far mettere il nostro nome sull’elenco telefonico. Quando, nel 2009, il Comune di Roma concesse gratuitamente – nel quadro delle attività sulla sicurezza stradale – l’installazione di 1.000 apparati satellitari a donne che, per ragioni familiari o lavorative, dovevano utilizzare l’auto in situazioni a rischio, ci volle del bello e del buono per convincere della bontà dei vantaggi che il sistema offriva. “Ma se voi installate questo apparecchio sulla mia auto, c’è qualcuno che sa sempre dove vado! Non lo posso spegnere, ogni tanto?”, chiese candidamente e con preoccupazione, ai funzionari incaricati dell’assegnazione, una piacente signora sulla quarantina, dimostrando così che la verità, come spesso accade, è sempre più prosaica di quanto si creda. E se il redditometro fa paura, la tecnologia che permette a un coniuge sospettoso di sapere tutto, ne fa ancora di più.

Alessandro Ferri