La strategia internazionale di concentrazione dei flussi di traffico prevede che l’Europa riduca gli aeroporti, poli cardine di sviluppo economico che invece andrebbero sostenuti e potenziati
Si chiede all’Europa di ridurre gli aeroporti e di dismetterne altri. Si producono studi ad hoc che hanno la sola funzione di influenzare i decisori pubblici per puntare alla concentrazione dei flussi in transito. Gli aeroporti sono elementi essenziali della politica di sviluppo economico sia a livello nazionale o locale sia a livello internazionale. Lo scambio di competenze e gli scambi commerciali sono alla base del progresso dell’umanità. Ogni aeroporto rappresenta un vantaggio per la promozione dei territori ma alcuni territori al momento temono di essere presto esclusi da un sistema che privilegerà alcune destinazioni a discapito di altre. Ogni aeroporto è un motore di sviluppo economico che deve essere sostenuto e potenziato. Taluni scrivono che “Gli aeroporti sono chiamati a svolgere un’importante funzione economica garantendo il diritto del cittadino alla mobilità aerea” ma forse il problema è mal posto e non si tratta di questo. Chi si è espresso in questo modo parte da una concezione legata apparentemente a quella dei servizi di trasporto pubblico mentre occorrerebbe onestamente asserire che tutta la questione sui voli, specie quelli low-cost, ha avuto una diversa origine. Il sistema aeroportuale è stato incentivato e sostenuto nella speranza di creare una domanda di mobilità su scala planetaria, domanda che avrebbe avvantaggiato da un lato tutti gli operatori del settore, dall’altro i sistemi di controllo. Controllo dello spazio aereo, dei flussi, controllo economico su larga scala, considerazioni valide soltanto qualora i flussi siano perfettamente concentrati in pochi e selezionati aeroporti. In sintesi quello che si proponeva lo stesso IATA nell’atto[1] di costituzione “Promuovere trasporti aerei sicuri, regolari ed economici a beneficio dell’umanità, favorire il commercio aereo e studiare i problemi connessi”. Tutti i Paesi del mondo aderiscono all’ICAO[2] ma è soltanto lo IATA[3] che desidera svolgere controlli. Qualcuno ne dubita? È scritto nello statuto ICAO “Per agevolare l’aviazione civile internazionale di tutti gli Stati del mondo l’ICAO elabora le politiche e le normative di riferimento, effettua verifiche di conformità, realizza studi e analisi, fornisce sostegno e rinforza la capacità aeroportuale attraverso molteplici attività e con la piena cooperazione degli Stati membri e dei soggetti coinvolti.” Si potrebbe asserire quindi come le politiche aeree siano tutte in queste due diverse concezioni. L’ICAO, storicamente, volta a diffondere ovunque nel mondo gli aeroporti e i servizi aerei, la seconda, non a caso «ideata» dopo la seconda guerra mondiale, volta soprattutto a controllare. E questo è il punto cruciale. Si chiede all’Europa di ridurre gli aeroporti e di dismetterne altri. Si producono studi ad hoc che hanno la sola funzione di influenzare i decisori pubblici per puntare alla concentrazione dei flussi in transito. Gli aeroporti sono elementi essenziali della politica di sviluppo economico sia a livello nazionale o locale sia a livello internazionale. Lo scambio di competenze e gli scambi commerciali sono alla base del progresso dell’umanità. Ogni aeroporto rappresenta un vantaggio per la promozione dei territori ma alcuni territori al momento temono di essere presto esclusi da un sistema che privilegerà alcune destinazioni a discapito di altre.
Ogni aeroporto è un motore di sviluppo economico che deve essere sostenuto e potenziato. Non accorpando tutte le funzioni possibili in esso come alcuni economisti o progettisti hanno a lungo ripetuto. I passeggeri in transito non proveranno irrefrenabili impulsi all’acquisto se la merceologia esposta sarà (già di fatto lo è) identica da un capo all’altro del Pianeta. E forse questa moda dei brand sarà la prima ed unica vittima di un sistema peraltro perfetto, che accresce gli scambi, la conoscenza e incentiva la pace nel mondo. Per quanto riguarda gli aeroporti non devono essere dimenticate le dimensioni e l’accessibilità. Perde di attrattività un aeroporto che possa essere raggiunto in tempi superiori a quelli del volo che si attua. Perde di attrattività un aeroporto che imponga inutili percorsi per arrivare al gate. Il benessere percepito sarà uno dei fattori chiave che determineranno quali possano essere gli hub dai quali transitare. Già si tratta di una scelta in atto.
E gli hub su più poli, anche se così non dichiarati, come l’hub del sistema Milano (LIN, MXP, BGY) saranno la chiave vincente dei territori. Il tempo di viaggio per raggiungere lo scalo è un fattore chiave ed è un elemento volutamente sottaciuto dalle politiche in atto a livello europeo. Osservazione semplice: se dichiaro che sopra soglia è meglio, in tutta Europa gli aeroporti che possiedono questi requisiti possono essere contati sulle dita di una mano. Ma gli utenti non apprezzano. E il mercato ne risente. Si transita da un determinato aeroporto soltanto perché più confortevole di un altro. Si evita, se possibile, il grande scalo per ridurre i tempi di percorrenza. E questa tendenza, in atto da alcuni anni, ha portato la IATA ad una contro strategia. Nessuno pare infatti aver evidenziato una diversa chiave di lettura del PSO[4] che possiamo interpretare in questo modo, tra virgolette, con parole differenti da quelle della versione ufficiale[5] ma che rendono assai meglio il senso: “A livello IATA è stato deciso che alcuni Stati dispongono di interessanti sedimi aeroportuali a fronte del fatto che la movimentazione passeggeri esistente è piuttosto ridotta. Con la presente norma si riporta un elenco degli aeroporti che potranno essere acquisiti/riconvertiti ad altri usi e si invitano i vettori operanti sulla rotta, qualora lo Stato membro non abbia imposto specifici oneri di servizio pubblico riguardo ad un livello minimo di connessione, a riconsiderare se tale servizio aereo di collegamento, seppur indiretto, non possa essere meglio svolto transitando da uno dei nostri (IATA) hub europei, qualora tale rotta sia considerata essenziale per lo sviluppo economico e sociale della regione servita dall’esistente aeroporto. Tale onere è imposto esclusivamente nella misura necessaria a garantire che su tale rotta siano prestati servizi aerei di linea minimi rispondenti a determinati criteri di continuità, regolarità, tariffazione o capacità, cui i vettori aerei non si atterrebbero se tenessero conto unicamente del loro interesse secondo le analisi da noi stessi (IATA) definite attraverso le PSO (Public Service Obbligation). Qualora altre modalità di trasporto non possano garantire servizi ininterrotti con almeno due frequenze giornaliere, gli Stati membri interessati hanno la facoltà di prescrivere, nell’ambito degli oneri di servizio pubblico, che i vettori aerei comunitari che intendono operare sulla rotta garantiscano tale prestazione per un periodo da precisare, conformemente alle altre condizioni degli oneri di servizio pubblico”.
Meridiana[6] ne ha fatto le spese in primis: la Sardegna è una regione di estremo interesse ma la verità era tra le righe. C’è una guerra in atto, una guerra che si palesa un po’ più subdola della guerra fredda fatta ufficialmente terminare con la caduta del muro di Berlino. È una guerra economica per la quale è bene che tutti siano in allerta. L’Italia e l’Europa sono in una posizione strategica per farvi fronte.
Paola Villani
Politecnico di Milano – Dip. Ingegneria Civile e Ambientale
Sezione Infrastrutture di Trasporto e Geoscienze