Nella travagliata storia del Rally Dakar, la Mitsubishi Pajero occupa un ruolo da protagonista dall’alto delle sue 12 vittorie. Ripercorriamo insieme questo percorso di successi, attraverso l’analisi dei veicoli e dei protagonisti
La Mitsubishi ha iniziato a costruirsi un nome nel mondo delle corse negli anni ‘70 con le vittorie nei rally della Galant, un’auto che dimostrava affidabilità, prestazioni elevate e alta qualità delle componenti. Il vero salto di qualità si ebbe però nel 1995, quando la divisione Motor Sport coordinata dalla Rallyart mise mano alla Lancer, auto che si rivelò la vera arma letale della Mitsubishi.
Quell’anno infatti, giunse in squadra Kennet Eriksson che si aggiudicò due gare del Campionato mondiale rally. La vera svolta si ebbe solo l’anno successivo con l’arrivo del leggendario Tommi Makinen che con la Lancer conquistò i Campionati mondiali conduttori nel 1996, ’97, ’98 (assieme al titolo Costruttori) e ’99. Purtroppo negli anni seguenti il team si perse nello sviluppo della Carisma che non riuscì mai ad eguagliare in prestazioni la Lancer nonostante gli sforzi di Makinen che ottenne, in effetti, pochi risultati. Anche nei rally raid più difficili e massacranti la Mitsubishi seppe farsi valere guadagnandosi il rispetto degli avversari. La Parigi-Dakar, ideata da Thierry Sabine nel 1979, era una gara che metteva a dura prova uomini e mezzi, costretti a turni di guida lunghissimi in condizioni estreme. È proprio in questo contesto che la Pajero, il fuoristrada della Casa dei tre diamanti, detiene ancora il primato delle vittorie: dal 1985 al 2007 ha conquistato 12 vittorie assolute, di cui 7 consecutive.
I primi successi
La storia ci riporta indietro al 1985, quando il francese Patrick Zaniroli, in coppia con Jean Da Silva, coglieva il primo successo per la Mitsubishi a bordo di un Pajero L040.
La vittoria era sfuggita alla Casa giapponese sia nel 1983, quando l’equipaggio Cowan-Malkin chiuse undicesimo, sia l’anno successivo (di poco, terzi al traguardo).
La gara combattuta ed estremamente probante per uomini e mezzi, fu l’occasione giusta per mettere in luce le ottime qualità fuoristradistiche del primo Pajero anche sui percorsi più difficili. L’auto venne lanciata nel 1982 e da subito impiegata in gara. Un 4×4 piuttosto spartano con forme squadrate ed interni essenziali, veramente una “dura e pura”, caratterizzata da una carrozzeria a tre porte (il passo lungo non venne mai impiegato in gara) imbullonata su un telaio a longheroni e traverse. Il reparto sospensioni prevedeva uno schema misto con un ponte rigido e balestre al retrotreno e anteriormente bracci indipendenti con molle elicoidali, che consentivano al Pajero buone performance anche su strada. A questo si aggiungevano la robusta trasmissione con differenziale autobloccante posteriore ed il riduttore a due rapporti, caratteristiche che facevano del Pajero un agile arrampicatore anche in configurazione di serie. Anche se in Italia non arrivarono tutte le versioni, la scelta dei propulsori, sia diesel che benzina e sia aspirati che turbo, era piuttosto vasta. Nel corso degli anni si registrarono ovviamente aggiornamenti sia tecnici che estetici, come l’utilizzo delle molle anche sul ponte posteriore, sedili riscaldabili e livree bicolori. La versione da gara era naturalmente preparata per poter affrontare tutte le insidie del deserto. Sospensioni rinforzate, filtri specifici per l’uso agonistico estremo, almeno due ruote di scorta, piastre protettive e tutto l’occorrente per poter effettuare riparazioni nel bel mezzo del nulla, facevano parte dell’equipaggiamento standard.
Proto eccezionale
Negli anni successivi alla prima vittoria di Zaniroli, il gradino più alto del podio venne occupato prima dalla Porsche, poi dalla Peugeot per ben quattro anni consecutivi. Ciononostante la Mitsubishi arrivò nel 1988, con Shinozuka, molto vicina alla vittoria, e nel 1991 i tecnici del Sol levante presentarono una nuova auto, appositamente concepita per contrastare lo strapotere della 405 turbo 16.
La Mitsubishi Pajero Proto Dakar questo il nome, era una vera e propria arma da guerra, in grado di erogare – già nel 1991 – una potenza di oltre 450 hp. Per la Proto Dakar l’edizione del 1992 fu davvero fenomenale: l’arrivo a Città del Capo si concluse con tre auto sui primi tre gradini del podio, con Auriol, Weber e Shinozuka. L’anno successivo ancora uno strepitoso successo con Bruno Saby.
Dal 1994 la FIA in poi introdusse norme più restrittive che calmierarono le potenze e ridussero le possibilità di intervento sulle sospensioni e sul peso delle vetture.
Duelli storici
Negli anni ‘90 il duello tra Mitsubishi e Citroën infiammava, in tutto il mondo, gli appassionati di questo genere di corse. La casa francese del double chevron riuscì a cogliere la vittoria con Pierre Lartigue nel 1994, 1995 e 1996, rivelandosi un osso davvero duro da battere. Sempre nel ’94 debuttò sulle piste africane con Masuoka, la seconda serie della Mitsubishi Pajero, denominata V20. Prodotta in tre diverse carrozzerie (corto, lungo o cabrio), aveva un design più filante rispetto alla prima serie, con forme morbide e meno squadrate. Anche i motori si presentavano decisamente più brillanti, in Italia ebbe molto successo il 2.8 T.DI da 125 cv e 292 Nm di coppia, mentre a chi non si accontentava la Mitsubishi offriva anche il potente 3.5 V6 DOHC (doppio albero a camme in testa) che sprigionava 208 cv. Per tenere a bada tutta questa potenza vennero riviste anche le trasmissioni, che sulle versioni meglio equipaggiate prevedevano il sistema Super Select (SS4), ovvero un ripartitore dotato di terzo differenziale che permetteva di utilizzare il veicolo con le 4 ruote motrici inserite anche su asfalto o sterrato leggero, a tutto vantaggio della sicurezza. Le versioni che non lo prevedevano utilizzavano uno schema più semplice di inserimento della trazione con comando manuale (Easy Select), con mozzi a ruota libera automatici, poco affidabili nella pratica del fuoristrada. Invariato lo chassis a longheroni e traverse con carrozzeria imbullonata, le modifiche, poche ma importanti, si concentrarono tutte sulle sospensioni per le quali vennero adottati al posteriore un ponte rigido con molle elicoidali e all’anteriore doppi trapezi sovrapposti con ruote indipendenti.
Questo nuovo gioiello interruppe nel 1997 lo strapotere Citroën permettendo a Kenjiro Shinozuka (primo pilota giapponese a farlo) di conquistare il gradino più alto del podio; ma Mitsubishi andò oltre piazzando 4 vetture ai quattro primi posti della classifica assoluta.
All’inizio del 1998 la Mitsubishi Motors, per festeggiare le sue vittorie alla Dakar, presentò il Pajero Evolution una vera e propria “belva”, che in sostanza era una copia omologata per l’utilizzo stradale del prototipo vincente al raid.
Quest’auto presentava uno schema di sospensioni indipendenti che si rivedrà in futuro sul V60. Veniva venduto solamente con guida a destra e motorizzazione V6 di 3.500 cc con 24 valvole e 280 cavalli. Già nel 1998 l’Evolution colse proprio al suo esordio un successo straordinario con Jean Pierre Fontenay, mentre i compagni di squadra Shinozuka, Saby e Masuoka occuparono le restanti posizioni sul podio.
Una strada tutta in discesa
L’anno successivo venne lanciata sui mercati di tutto il mondo la terza serie della Mitsubishi Pajero. Un modello completamente riprogettato, con un nuovo telaio a scocca portante e nuove e più raffinate sospensioni in grado di garantire un buon confort a tutto l’equipaggio in ogni situazione di guida. Già dall’anno del suo esordio, il V60 dimostrò di essere un’auto competitiva riuscendo a cogliere il secondo e terzo gradino del podio con Prieto e Kleinschmidt. l’anno successivo mancò tuttavia la vittoria conquistata da Schlesser che con il suo buggy, si mise tutti dietro.
La musica cambiò nel 2001, quando la corsa si trasformò in una battaglia all’interno dello squadrone Mitsubishi.
A spuntarla fu la tedesca Jutta Kleinschmidt (prima e unica donna a vincere alla Dakar), che riuscì a tenere testa al compagno Masuoka, attardato nel corso delle speciali in Senegal. La Dakar del 2002 fu una vera e propria parata trionfale per la Mitsubishi Motors che conquistò le prime nove posizioni.
I piloti del team vinsero 9 delle 15 tappe e ottennero la settima vittoria alla Dakar grazie al primo successo del pilota giapponese Masuoka.
Continua Evoluzione…
Nel 2003, la Parigi-Dakar si presentava sulla carta tutta particolare: partenza dalla Francia (Marsiglia) e arrivo in Egitto (Sharm El Sheikh).
Per questa edizione la direzione sportiva della Mitsubishi Motors mise in campo un nuovo progetto siglato Pajero Evolution MPR10, un’auto sviluppata appositamente in funzione dei rigidi regolamenti super produzione del Campionato mondiale Cross Country Rally. La nuova arma della Mitsubishi grazie alla potenza del suo motore V6 da 4 litri si dimostrò subito molto competitiva e riuscì a staccare gli avversari già dalle prime tappe. Hiroshi Masuoka, navigato dal tedesco Andreas Schultz, fu primo al traguardo sulle rive del Mar Rosso, bissando il successo dell’anno precedente. I restanti gradini del podio furono occupati dai francesi Fontenay e Picard, mentre terzi arrivavano Peterhansel e Cottret, dominatori fino alla penultima tappa. Il nuovo Pajero Evolution MPR10 si dimostrò talmente affidabile e vincente che la Mitsubishi decise di impiegarlo in gara anche l’anno successivo. Una scelta azzeccata, che permise a Stephane Peterhansel di rifarsi della delusione dell’anno precedente. Il pilota francese di rally diventò così il secondo, dopo Hubert Auriol, a vincere sia con le moto che con le auto. Determinati a cogliere la loro decima vittoria, gli uomini del team Mitsubishi continuarono lo sviluppo del Pajero Evolution, che nella nuova versione prese il nome di MPR11.
In una gara funestata da numerosi incidenti mortali, nei quali persero fra gli altri la vita un bambino senegalese di 5 anni ed il nostro Fabrizio Meoni, Stephane Peterhansel riusciva a superarsi e a conquistare il suo secondo successo in auto, andando a cogliere il quinto trionfo consecutivo per Mitsubishi Motors alla Dakar.
Una evoluzione continua, che la casa dei tre diamanti portò avanti anche nel 2006, quando ai nastri di partenza schierò l’Evolution MPR12.
Grazie al suo serbatoio da 250 litri posizionato nel bagagliaio, quest’auto vantava una perfetta distribuzione dei pesi, che unita all’ottimo lavoro svolto dalle sospensioni (potevano sopportare temperature di 200°C), ne facevano un avversario davvero temibile. Questa volta a portare a casa la sesta vittoria consecutiva fu Luc Alphand, già fuoriclasse di discesa libera, che riuscì ad avere la meglio sui suoi compagni di squadra Masuoka, Peterhansel e Roma.
Dopo 15 tappe e un totale di 7.915 km attraverso 6 paesi, anche la 29esima edizione della Dakar emise un verdetto inappellabile: a trionfare sulle rive del lago Rosa furono infatti Stephane Peterhansel e il suo navigatore Jean Paul Cottret. Per la Mitsubishi fu la conclusione ideale di un anno fantastico che fece registrare anche la vittoria al Baja Spagna e all’UAE Desert Challenge. Il nuovo Pajero MPR13, notevolmente modificato rispetto al precedente, ha permesso di ottenere questi risultati straordinari.
Una struttura telaistica multi tubolare per ridurre il peso, nuove portiere ad ala di gabbiano, serbatoio e ruota di scorta posizionati sotto l’auto per abbassare il baricentro e carreggiate allargate per una migliore stabilità alle alte velocità sui percorsi più sconnessi.
Il triste addio alla Dakar
I tanti appassionati quasi non vollero credere alla triste notizia che in breve si diffuse attraverso i vari siti internet: dopo ben 27 partecipazioni al rally raid più famoso del mondo e 12 vittorie (di cui 7 consecutive), la Mitsubishi rimase anch’essa vittima, nel 2009, della crisi economica che quell’anno le fece chiudere il bilancio con una perdita di 60 miliardi di yen (500 milioni di euro). Nonostante siano state proprio le corse a far diventare grande Mitsubishi nel mondo, soprattutto per quel che riguarda la trazione integrale, la decisione presa da Osamu Masuko Presidente del gruppo, non poteva non essere conseguente alla crisi globale di quel periodo.
Lorenzo Gentile