“Ah, Italiani di Firenze? Mio padre è di Campobasso! Siamo vicini!”
Il tipo ha gli occhi stralunati ed è seduto su un lettino intorno alla piscina del Roosevelt Hotel e cincischia in quella che nella sua mente è lingua Italiana la classica risposta socialmente inutile che si fornisce in questi casi.
Sul momento non ho il cuore di fargli notare che Firenze e Campobasso sono molto distanti, sia geograficamente che culturalmente. E non ho nemmeno la verve di raccontargli come in buona parte della provincia di Campobasso l’Italiano sia solo una seconda lingua, la prima è Arbëreshë, un dialetto Albanese. E questo lo so con certezza perché ci sono stato. E i miei nonni paterni vengono da lì.
“Sì. Più o meno”, gli dico.
Perdonate la freddezza, ma se io sono riuscito a diventare quasi perfettamente bilingue da figlio di generazioni dopo generazioni di Italiani, non riesco a essere molto accomodante con i figli di genitori ibridi che riescono a parlare solo una lingua.
Il tipo si avventura in una conversazione che solo lui riesce a seguire, e io non ho il coraggio di interrompere perché la sua mente è annebbiata dall’alcool e dalla prospettiva di attività fisica con una/due tipe che lo aspettano in camera. Ma non sono affari miei. Così come non sono affari miei le te… il seno della bionda pneumatica che lo reclama dalla stanza d’albergo.
Sono appena le undici di sera e Hollywood, Los Angeles, California è già addormentata.
L’acqua della piscina nel cortiletto interno del Roosevelt Hotel, storico hotel di queste zone, è calma e priva di increspature e lo è da ore. Ci avevano promesso una festa. Ci siamo ritrovati un playboy Americo-Molisano. E’ una situazione che ho vissuto mille volte e mille volte vi consiglio di viverla perché è divertente. In un luogo dove non pensavo solo 48 ore prima sarei finito con persone sconosciute, con l’unica eccezione del mio amico-compagno di viaggio, conosciuto, appunto,…. 48 ore prima.
E con un’auto che non avevo mai guidato prima. Che è generalmente la seconda parte che preferisco di ogni viaggio.
Questa volta tocca a una Nissan Cube.
Così come ogni letto in cui ho dormito in questa settimana a Los Angeles e ogni auto che ho guidato, la Cube non l’avevo né programmata né prenotata. Appartiene a una ragazza il cui nome non posso scrivere, ma vi dirò soltanto che inizia con G e finisce con Loria, ed è fantastica.
La Cube, dico.
Un pezzo di Tofu quadrato e fumettistico che sta a Los Angeles come un piatto di Sushi sta a Entebbe in Uganda. Ma è divertente. Non so con quale motore sia equipaggiata questa che sto guidando ma azzarderei un mezzo litro da mezzo cavallo, che associato all’inevitabile cambio automatico, la rende probabilmente l’auto più lenta che abbia mai guidato.
Certamente l’auto più lenta stasera a Los Angeles. Ma sono i momenti che contano, non le prestazioni. E c’è qualcosa di speciale nel parcheggiare una Nissan Cube a Hollywood.
Anche se non ci siete mai stati, questa città vi ha toccati. Siamo tutti segretamente convinti di conoscere Los Angeles, richiama familiarità. In fin dei conti, è da qui che arriva la gran parte dell’intrattenimento e cultura di oggi. Serie TV, film, libri, musica, tecnologia, persino il porno. Hollywood è la più iconica rappresentazione di Los Angeles ed è essenzialmente un crocevia di due grandi strade con marciapiede molto largo con sopra le famose stelle.
Molte delle quali assegnate a personaggi di fantasia tipo Paperino e molte delle quali a personaggi che in Europa, e forse nemmeno qui, conoscono.
Los Angeles è una città che vuol apparire liberale, apparentemente priva di preconcetti e tradizioni. In realtà è un agglomerato di contraddizioni. Quasi tutto è illegale, incluso dimenticarsi di lavarsi le mani dopo aver usato il bagno, ma quasi tutto viene fatto alla luce del sole.
La vita notturna di Los Angeles, che già di suo sembra esaurirsi molto presto, pare trovare sbocco solamente nei suoi locali, molti dei quali si trovano dentro vari hotel storici. Il che, se posso permettermi, è già preoccupante. Se una città trova il picco della sua tradizione e della sua storia negli hotel.
Los Angeles ha centomila facciate e forse il vero fascino sta nella convinzione che ti entra dentro da subito, che si atterri a LAX o che si arrivi dal deserto, che è tutto possibile, e tutto fattibile. Ma non come Vegas, che è una scusa per fare cose di cui pentirsi. L.A. è dichiaratamente innocente, neutrale e ingenua, ma ti concede tutto chiudendo un occhio.
Che credo sia il motivo per cui non mi sento in colpa al volante della Cube.
Presentata nel 1998 su piattaforma Micra, la produzione della Cube per il mercato Europeo e Nord Americano è stata discontinua, ripresa e mollata mille volte fino al 2014, quando la Nissan ha deciso di staccare la spina e continuarne la vendita solo in Giappone.
Al di là dell’aspetto buffo e comico e dell’infinita praticità, la Cube non la vedo particolarmente adatta alle nostre strade a meno che non la si scelga come una dichiarazione d’intenti. Spicca, è curiosa, è simpatica.
Ma anche la Panda lo è.
Invece, nonostante il motore di dimensioni ridotte, la Cube è sorprendentemente adatta alle strade «losangeline», in parte perché visto il costo (basso) della benzina negli USA ne vengono fuori costi di gestione ridottissimi in confronto ai V6 e V8 spreconi tipici delle auto americane (il V6 della Mustang 5° generazione, fino al 2014, produceva solamente 210 cavalli da un 4 litri); ma soprattutto perché andando oltre la sua carta d’identità nipponica, la Cube è un’auto statunitense nello spirito.
Con la tipica estremizzazione di cui gli americani sono maestri, la Cube rappresenta la neonata convinzione americana di essere sulla strada giusta, che spesso è l’opposta rispetto a quella percorsa la settimana precedente.
Un po’ come un sedicente nutrizionista che decide di bandire il pane dalla propria dieta una settimana, per poi mangiare solo pane eliminando la carne la settimana successiva.
Nel giro di pochi anni, gli Stati Uniti sono passati da motori da 5 litri con 30 cavalli montati su auto da 3 tonnellate a una ricerca psicotica ai limiti della crisi epilettica dell’efficienza energetica…
Un downsizing di proporzioni… be’, americane. Ecco perché una Cube parcheggiata accanto a un gigantesco pick-up Ford con 6 ruote fa bella figura. Come ciliegina sulla torta la Cube ha ricevuto il prestigioso premio di «auto più dog-friendly» del 2010.
Ditemi voi se c’è un riconoscimento più tipicamente americano di questo.
[ Alessandro Saetta Vinci ]