Storia, a cavallo della seconda guerra mondiale, di un’auto che ha messo d’accordo beat generation e borghesia: dalla spesa settimanale ai lavori agricoli, dal camping alle spiagge più glamour, dai modelli derivati alle elaborazioni più personali
Origini e filosofia del progetto
Le direttrici del progetto sono tutte nella sigla iniziale T.P.V. (Très Petite Voiture = vettura piccolissima), un’auto la cui linea non doveva avere alcuna importanza e che dovesse essere quanto più pratica ed economica possibile.
L’idea va ascritta ad André Citroen che la pensò all’inizio degli anni ’30 ma che la vide poi accantonata a favore del progetto della Traction Avant; la pesantissima crisi finanziaria aziendale del 1934 portò all’uscita di André Citroën, voluta dalla Michelin, uno dei creditori più esposti nei confronti della Casa del Double Chevron.
Nel ricordare che all’epoca le auto si progettavano con carta, matita, regolo e poco più, la TFP fu progettata e costruita in soli tre anni da un’équipe capitanata dall’«anima» del progetto, il Direttore Generale di Citroën Pierre Jules Boulanger, da André Lefebvre, ingegnere capo e da Maurice Brogly cui Boulanger diede ordine di seguire, letteralmente, le sue istruzioni: “faccia studiare dai suoi servizi una vettura che possa trasportare 2 contadini in zoccoli e 50 kg. di patate, o un barilotto di vino, ad una velocità massima di 60 km/h e con un consumo di 3 litri per 100 km. Le sospensioni dovranno permettere l’attraversamento di un campo arato con un paniere di uova senza romperle, e la vettura dovrà essere adatta alla guida di una conduttrice principiante ed offrire un comfort indiscutibile”.
Come se non bastasse la vettura avrebbe dovuto comportare bassi costi di esercizio, essere di facilissima manutenzione e quindi accessibile per questo aspetto anche dai meno esperti ed infine che il conducente doveva poter salire a bordo della vettura con il cappello in testa ma su quest’ultima specifica torneremo nella seconda parte di questa lunga storia.
Va ricordato che i quasi 20 anni intercorsi fra il progetto iniziale (primi anni ’30) e la presentazione dell’auto al Salone di Parigi del 1948 furono caratterizzati, in ordine cronologico, dalla defenestrazione di André Citroën e dal conseguente controllo della Michelin, dall’arrivo della seconda guerra mondiale che bloccò ogni iniziativa del genere e dal dopoguerra che rese impossibile mantenere alcune delle caratteristiche originarie del progetto, in primo luogo l’uso dell’alluminio, mentre rimasero valide altre caratteristiche quali i finestrini a ribalta, la capote in tela ed i sedili costituiti da un leggero telaio tubolare cui erano ancorate per mezzo di semplici elastici le sedute realizzate da robusti teli; altra pensata geniale: i sedili erano facilmente smontabili e si potevano quindi utilizzare per, ad esempio, un pic-nic.
Altro elemento adottato per leggerezza ed economicità, era la capote che andava dalla cornice superiore del parabrezza al paraurti posteriore; questa soluzione, in un’auto destinata prevalentemente ad usi agricoli, rivelò tutta la sua praticità in tema di carichi sporgenti come, ad esempio, una scala a pioli da portare nei frutteti e negli uliveti.
I prototipi T.P.V.
La prima maquette a grandezza naturale del 1936 fu seguita, dal 1937 in poi, da 49 prototipi marcianti il primo dei quali, senza fari né carrozzeria ma con struttura in lega leggera e motore motociclistico BMW da 500 cc, si rivelò talmente veloce da risultare instabile e meccanicamente fragile.
Il motore tedesco venne sostituito da un bicilindrico da 375 cc di propria costruzione raffreddato ad acqua e sul pianale venne posizionata una carrozzeria in lega di magnesio, materiale leggero ma facilmente infiammabile come rapidamente verificato a causa di un corto circuito che innescò un incendio che dal carburante si propagò all’intera struttura con conseguente distruzione della vettura. A questo si aggiunsero problemi di messa a punto delle sospensioni, superati con la soluzione delle ruote interconnesse e del braccio oscillante su ogni singola ruota il tutto integrato da un dispositivo automatico che, collegato al pedale del freno, impediva l’affondamento del muso in avanti in, appunto, frenata.
Quando si arrivò all’accettazione del prototipo definitivo da parte di Boulanger, questi – nel 1939 – ne fece costruire 250, quella che oggi chiameremmo una pre-serie che alla fine sulla segretissima pista prove de «La Ferté Vidame», vicino Parigi, furono esposti per essere esaminati, uno ad uno e con estrema cura, dallo stesso Boulanger.
Le TPV scartate, che Boulanger voleva rigorosamente distrutte, venivano tirate cinque metri indietro rispetto alle altre ed alla fine, del lungo schieramento di prototipi ne rimasero solamente una decina, tra pick-up, telai e vetture complete.
Guerra e dopoguerra
Proprio in quei momenti i tedeschi invasero la Francia e Boulanger diede ordine di distruggere anche i prototipi sopravvissuti alla sua cernita ma i tecnici, disattendendo tali disposizioni, distrussero solo i prototipi scartati e conservarono quegli esemplari per proseguire segretamente gli studi, contando di lanciare l’auto definitiva a conflitto finito.
Delle dieci vetture, cinque non furono più ritrovate, tre furono nascoste nel sottotetto di una palazzina nella stessa pista prove e lì sono state scoperte pochi anni fa, durante il rifacimento della copertura dell’edificio e attualmente si trovano nell’esatto stato in cui sono state ritrovate al Conservatoire Citroën.
Un paio delle altre finirono in mano alle SS e portate in Germania dove, dopo un attento esame, vennero scartate perché inadatte all’uso bellico; evidentemente un loro utilizzo civile non venne neppure preso in esame e questo, per la Casa francese fu un colpo di fortuna che ne cambiò le sorti post belliche.
Liberata nel 1944 Parigi, il progetto venne ripreso a partire dal motore (firmato dall’italiano Walter Becchia) che abbandonò il raffreddamento ad acqua a favore di quello ad aria, adottò un cambio a 4 marce nonostante Boulanger propendesse per un 3 marce, ed anche su questo torneremo più avanti.
In questo periodo si mise mano anche alle sospensioni mettendo la loro geometria definitiva che rimase poi inalterata nel tempo e che costituì una delle caratteristiche di assetto che avrebbe accompagnato l’auto in tutta la sua vita: molti ancora ricordano il coricamento in curva del corpo vettura mentre le 4 ruote rimangono aderenti al fondo stradale. Dall’alluminio si passò alle lamiere d’acciaio che, pur se sottili, crearono un problema di peso cui si ovviò aumentando la cilindrata del motore.
Ultimi affinamenti, siamo nel 1948, riguardarono i freni, che divennero idraulici a tamburo sulle quattro ruote, l’adozione di vetri in cristallo al posto della meno trasparente mica e l’aggiunta dell’impianto di riscaldamento.
Sullo stile ci sarebbe da scrivere un piccolo trattato ma qui ci limiteremo solamente a sottolineare che la filosofia che ha portato alla definizione delle carrozzerie dei primi 250 prototipi T.P.V. è rimasta fondamentalmente la stessa, pur con i tanti, inevitabili ed anche importanti ritocchi dovuti anche a Flaminio Bertoni che sul progetto entrò in maniera sostanziale in un secondo tempo; le foto che seguono sono chiara testimonianza del legame fra il prototipo T.P.V. e la successiva 2CV così come noi la conosciamo:
Telaio e meccanica
La struttura della 2CV era del tipo a pianale rinforzato da elementi piani scatolati, su cui fissare la carrozzeria in lamierati di acciaio.
Lo schema delle sospensioni era del tutto originale poiché basato, per ogni ruota, su un braccio oscillante con tiranti longitudinali che agivano su molle elicoidali orizzontali; gli ammortizzatori che agivano sui bracci oscillanti erano a frizione mentre quelli che agivano sulle ruote erano ad inerzia; si trattava di un sistema in grado di offrire una tenuta di strada sicura su asfalto ed una ottima mobilità, grazie alla considerevole altezza da terra, anche su terreni accidentati.
Il sistema frenante era idraulico a quattro tamburi con gli anteriori posti entrobordo (all’uscita del differenziale) mentre il freno a mano agiva sulle ruote anteriori il cui sterzo era a cremagliera.
Il motore realizzato da Walter Becchia in sostituzione di quello della primissima 2CV era un bicilindrico orizzontale a cilindri contrapposti raffreddato ad aria da 375 cc in grado di erogare 9 cv a 3.500 giri/min. che permettevano alla vettura di toccare i 66 km/h.
Quanto quest’auto precorresse i tempi è dimostrato anche dal fatto che nella trasmissione manuale a 4 marce, la frizione monodisco a secco era affiancata da una frizione centrifuga che, una volta fermi al semaforo, permetteva di rilasciare il pedale della frizione normale e premere semplicemente l’acceleratore per ripartire.
Un debutto contestato
Nonostante il difficile momento politico e socio-economico non solo della Francia la 2CV la presentazione ufficiale della vettura avvenne alla presenza del Presidente francese Vincent Auriol.
In tale occasione la 2CV fu oggetto di critiche feroci da parte della stampa specializzata e non sia nazionale che estera: non si era mai vista un’auto così fuori dai canoni e nessuno dei giornalisti di allora fu in grado di guardare al futuro, cosa che non si verificò – ad esempio – anni dopo in occasione della presentazione della DS, altra vettura dirompente: evidentemente la stampa aveva imparato a dare il giusto valore alla visione avveniristica del Double Chevron.
La perplessità dei giornalisti fu ampiamente smentita dalla reazione del pubblico che in breve tempo passò dal grande interesse alla grande richiesta.
L’auto per chi non può permettersi un’auto
Il successo di pubblico fu infatti talmente grande da cogliere impreparata la Casa che non fu inizialmente in grado di soddisfare tutte le richieste e fu costretta ad una selezione draconiana: accontentare solamente chi era in grado di dimostrare di non potersi permettere un’auto «normale» ovvero soggetti che devono spostarsi per necessità (come contadini, veterinari, curati e maestri di campagna e via dicendo) ma che non si possono permettere nessuna delle auto allora in commercio. Ed è così che a pochi giorni dalla presentazione, la lista di attesa raggiunge in breve tempo i due anni e mezzo!
Commercializzazione ed evoluzione
Produzione e commercializzazione vennero avviate rispettivamente nel luglio e settembre del 1949 mentre nel 1950, al Salone di Parigi, venne presentata la versione furgonata la cui vita fu caratterizzata da forte richiesta e grande successo commerciale.
- 1951-1954: la 2CV ricevette solo modifiche di dettaglio: avviamento con la chiave, serratura apposta anche nella porta sinistra, aggiunta della sicura all’interno delle porte, ampliamento della gamma colori nuovi rivestimenti, nuovo volante e modifica del sistema di apertura dei finestrini anteriori.
- Nel corso di quell’anno arrivarono modifiche alla meccanica come un nuovo albero di trasmissione ed una nuova ventola a quattro pale invece di otto ma la novità più importante arrivò ad ottobre con l’introduzione della 2CV AZ che affiancò la serie A ma, a differenza di questa, era dotata del noto bicilindrico la cui cilindrata crebbe però da 375 (9 cv) a 425 cc (12 cv);
- 1955: arrivano i lampeggiatori posteriori, posti sul montante; aggiornata e migliorata la dotazione di comandi secondari; aumentato il rapporto di compressione dei due motori e adeguata la carburazione;
- 1956: raggiunti i 500 000 esemplari prodotti; cambiano i rivestimenti delle portiere ed i nuovi fari posteriori; ampliato il lunotto posteriore e possibilità di scelta fra più colori per la capote; lanciata a fine anno la nuova variante AZL, caratterizzata da inserti in alluminio su cofano, paraurti, linea di cintura e base delle portiere.
- 1957: arriva a ottobre la AZLM, con vano bagagli ora con sportello in metallo e, conseguentemente, capote di dimensioni più ridotte.
- 1958/1959: nulla di particolare nel 1958 ma dal giugno successivo la AZLM sarà disponibile solo blu ghiaccio, mentre fra gli accessori veniva inserita l’autoradio a transistor.
- 1960: a novembre esce di produzione la versione di base A, in listino dal 1948, mentre a dicembre arriva il primo, vero restyling: il cofano motore, ora liscio e con cinque nervature longitudinali di rinforzo, incorpora una nuova e più piccola calandra; nuovi paraurti e ampliamento della gamma colori. La potenza sale da 12 a 12,5 cavalli. Per contro arriva la Sahara che, dotata di un motore per ciascuno dei due assi, diviene di fatto una 4×4.
- 1961: la potenza sale da 12.5 a 13,5 cavalli.
- 1962: altro incremento di potenza: da 13,5 a 15 cavalli; entra a listino la 2CV Mixte, una 2CV promiscua dotata di portellone posteriore e con divanetto posteriore abbattibile mentre ad ottobre esce la AZL.
- 1963: la potenza su tutta la gamma aumenta a 18 cv; esce dal listino la AZ mentre arriva, in sostituzione della AZL, la AZA (paraurti rinforzati e nuovi rostri) seguita, un mese dopo, dalla AZAM, caratterizzata da sostegni dei tergicristalli e nuovi coprimozzi cromati mentre i paraurti venivano integrati con inediti elementi tubolari; i vetri anteriori presentano ora una cornice in acciaio inox e sul cofano compaiono inserti in alluminio; stesso materiale va anche alle cornici dei fari, al parabrezza ed ai vetri laterali posteriori; arriva a fine anno anche la predisposizione per il fissaggio delle cinture di sicurezza.
- 1964: pochi aggiornamenti di dettaglio nella meccanica (motore, cambio, tubazioni dei freni, ecc.) e ampliamento della gamma colori.
- 1965: l’apertura delle portiere anteriori diviene controvento, mentre le cinture di sicurezza sono offerte come optional in ossequio alle nuove, specifiche normative europee. La lista degli optional si arricchisce dell’impianto di riscaldamento mentre al retrotreno nuovi ammortizzatori idraulici telescopici sostituiscono quelli a frizione (rimangono quelli ad inerzia); anteriormente la trasmissione a singolo giunto omocinetico viene sostituita con altra a doppio giunto omocinetico; infine lo stemma della Casa viene spostato sopra la calandra, mentre ora compare, sui montanti posteriori delle versioni AZA ed AZAM, il terzo finestrino laterale.
- 1966: la primavera porta un nuovo antifurto che comprende il bloccasterzo ed il blocco del flusso di carburante.
- 1967: la AZAM esce dal listino e viene sostituita dalla Export, più accessoriata e rifinita la cui dotazione di serie comprende gli indicatori di direzione anteriori di forma rettangolare posti sui parafanghi, la plancia ridisegnata che ora ospita il tachimetro della AMI 6. Vita da farfalla per la Export che esce di produzione solo quattro mesi dopo, sostituita dalla Dyane che, nei piani della Casa, avrebbe dovuto sostituire la 2CV stessa.
- 1968-1969: nel 1968 cessano le importazioni in Italia della 2CV mentre nel 1969 viene migliorata, con lievi modifiche meccaniche, la coppia motrice.
- 1970: in ossequio a nuove leggi in materia di contenimento delle emissioni inquinanti si assiste allo sdoppiamento della gamma con il pensionamento del motore da 425 cc e l’introduzione dei due bicilindrici già in dotazione delle Dyane ed Ami 8: il primo di 435 cc, erogava fino a 26 cv, mentre il secondo di 602 cm³ erogava 28,5 cv. Queste motorizzazioni permisero alla 2CV di rimanere a listino con denominazioni diverse: la 2CV con il motore più da 435 cc divenne 2CV 4, mentre quella spinta dal bicilindrico da 602 cc prese il nome di 2CV 6. Con l’occasione vennero introdotti lievi aggiornamenti estetici: gli indicatori di direzioni anteriori divennero circolari, mentre le luci posteriori ebbero dimensioni maggiori. Per finire in bellezza la dotazione di serie venne completata con cinture di sicurezza e lavavetro.
- 1971-1972: scompaiono nel ’71 gli ammortizzatori ad inerzia che cedono il loro compito a quelli, già in dotazione, idraulici telescopici mentre nel 1972 si hanno solo pochi aggiornamenti di dettaglio.
- 1973: modificati i propulsori in funzione delle nuove normative antinquinamento; migliorata anche l’insonorizzazione dell’abitacolo.
- 1974-1975: mentre nel 1974 registriamo solo alcuni aggiornamenti a plancia comandi e strumentazione, l’anno successivo assistiamo a nuovi interventi sull’oramai ventisettenne 2CV, che viene dotata di una calandra leggermente ridisegnata, nuovi paraurti più sostanziosi e nuovi fari anteriori di forma rettangolare che, non riscuotendo il successo sperato, lasciarono successivamente il posto ad altri di forma nuovamente circolare.
Ritoccata anche la meccanica con una rivisitazione dei collettori di aspirazione e di scarico, l’installazione di una nuova marmitta e di un nuovo coperchio delle punterie in acciaio anziché in lega di alluminio.
- 1976: Arriva la 2CV Special, versione economica disponibile solamente in Jaune Cedrat e con allestimento semplificato, con fari circolari al posto di quelli rettangolari, senza il terzo finestrino laterale e con un cruscotto quasi uguale a quello dei modelli del 1963. La 2CV 6, più curata e meglio rifinita rispetto alla Special (tetto apribile dall’interno, strumentazione più completa, tappezzeria in panno e sedili anteriori divisi) diviene «Club» e gli ammortizzatori a frizione anteriori vengono anch’essi sostituiti con i più moderni ammortizzatori idraulici telescopici. La 2CV torna a gennaio in Italia, anche se inizialmente solo con la versione «2CV-4».
- 1977-1978: pochi aggiornamenti di dettaglio nel ’77 mentre nel 1978 le cinture di sicurezza vengono dotate, di serie, di arrotolatore. Alla Special viene aggiunto il terzo finestrino laterale mentre la gamma colori diviene più ampia.
- 1979: La 2CV 4 esce dal listino mentre permane solamente la 2CV 6 tecnicamente aggiornata con un nuovo carburatore doppio corpo Solex ed un nuovo filtro dell’aria che portano la potenza massima 29 cv a 5.750 giri/min. (1.000 giri in meno rispetto a prima).
- 1980: presentata a fine anno come serie speciale la 2CV 6 Charleston con livrea bicolore.
- 1982: la 2CV 6 Charleston, dotata di freni a disco anteriori, diventa modello di serie.
- 1987: esce di produzione la 2CV 6 Club, mentre rimangono a listino solo la Special e la Charleston.
- 1988: il 25 febbraio lo stabilimento di Levallois viene chiuso dopo aver prodotto 2.790.472 Citroën 2CV.
- 1988-1990: la produzione continua in Portogallo fino alle ore 16.00 del 27 luglio 1990, quando l’ultima 2CV6, una Charleston grigia e nera, esce dallo stabilimento di Mangualde.
Fine prima parte; nella seconda scoprirete – oltre al resto della storia – una parte più giocosa, glamour, avventurosa, cinematografica e sportiva di questa grande, intramontabile vetturetta.
[ Giovanni Notaro ]