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Aston Martin: molta Italia nella sua storia

Il recente passaggio del controllo del marchio al fondo Investindustrial del finanziere italiano Andrea Bonomi non è stato il solo intervento italiano nella storia di questo iconico marchio ed è una buona occasione per ripercorrerne la storia

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Tre i fatti che hanno caratterizzato negli ultimi tempi la vita di questo marchio dopo l’acquisizione, lo scorso luglio, del suo controllo da parte del finanziere Andrea Bonomi: la celebrazione del centenario della marca, la partnership con Mercedes AMG che fornirà i propri propulsori al costruttore inglese e l’uscita dal listino della piccola Cygnet. Partiamo da quest’ultima che qualcuno interpretò a suo tempo come un’operazione d’immagine mirata su quella parte di utenza un po’ snob che del finto understatement fa la propria bandiera, altri l’hanno bollata tout-cour una volgarizzazione dell‘aristocratico marchio inglese ed infine ci fu chi – più pragmaticamente – lesse nell’operazione Cygnet come la risposta alla necessità di abbattere le emissioni medie dei “prodotti“ Aston Martin al fine di rientrare nel rispetto delle norme antipollution europee.

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Al di là di ogni altra considerazione, la verità è che questa costosissima city-car è stata prodotta in soli 143 esemplari, dato del quale i vertici aziendali hanno preso atto disponendo ad inizio ottobre la fine della produzione. Ma torniamo, ora, a note più positive:

● a pochi mesi dall’acquisizione – lo scorso dicembre – del 37,5% del capitale Aston Martin (pari al 50% dei diritti di voto in CdA) da parte del fondo Investindustrial di Andrea Bonomi, è arrivato l’accordo con la tedesca AMG che fornirà all’Aston Martin, perlomeno per i primi tempi, propulsori 8 V biturbo;

● è dato per certo un prossimo utilizzo anche dei V12 biturbo AMG (attualmente in fase di aggiornamento in funzione delle nuove normative antinquinamento europee);

● si penserebbe di produrre di un SUV forse con il marchio Lagonda (altra icona made in GB entrata a far parte del Gruppo Aston Martin nel 1959);

● si parla, anche qui con una certa insistenza, della messa in cantiere di una hypercar alla quale starebbe lavorando la Prodrive, engineering company fra le più quotate in ambito tecnico-sportivo, il cui Presidente, “Dave“ David Richards (in Aston Martin già ai tempi di Ulrich Bez presidente incaricato dalla Ford) ne acquistò nel 2007 – assieme a Frederic Dor – il pacchetto di maggioranza da poco rilevato dalla Investindustrial di Andrea Bonomi che, con il suo 37,5%, è l‘azionista di riferimento della Aston Martin.

Nato a Milano nel 1965, studi internazionali, Andrea Bonomi rappresenta la terza generazione dell‘omonima famiglia di industriali e immobiliaristi milanesi ed è Presidente del gruppo finanziario Investindustrial; dal 2011 è socio nonché Presidente del consiglio di gestione della Banca Popolare di Milano ed è Consigliere non esecutivo del Gruppo Illy S.p.A., di RCS Mediagroup S.p.A. e della Camera di Commercio Americana in Italia; la sua Investindustrial è una società specializzata nell’acquisizione di aziende di medie dimensioni da rilanciare in base ad uno specifico progetto industriale e cedere a medio termine a riassetto e rivalutazione avvenuti cosa puntualmente verificatasi con la Ducati ceduta, la scorsa primavera, al Gruppo Audi.

Bamford e Martin: 1913-1925

Nel 1913 Robert Bamford e Lionel Martin, ciclisti inglesi che credevano fermamente nel futuro dell’automobile, costituirono a Chelsea il “garage” Bamford & Martin, assumendo la rappresentanza della Singer, vettura che modificarono per le competizioni; il primo modello, denominato “Coal Scuttle”, fu realizzato nel 1914 mentre per registrare l’integrale costruzione della prima auto da corsa si sarebbe dovuto attendere il 1922, anno nel quale, si può dire, nacque l’Aston Martin dal DNA sportivo che l’avrebbe contraddistinta per sempre.

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Ovviamente la grande guerra aveva lasciato il segno, tanto che Robert Bamford uscì dall’azienda nel 1920 e fu solo grazie all’intervento del ricchissimo nobile (e pilota) franco-polacco Louis Zborowski che l’azienda si salvò; nel 1922 la Casa debuttò nelle corse oltre Manica e più precisamente al GP di Francia ma presto subentrarono problemi finanziari che, nel 1926 la portarono al fallimento; l’attività venne però rilevata dalla Renwick e Bertelli (1926-1938). Quest’azienda, sino ad allora impegnata nella produzione di motori aeronautici, aveva messo a punto il suo primo propulsore automobilistico ed i suoi proprietari – Bill Renwick e Augusto Bertelli – ritennero utile tagliare i tempi di un avvio da zero della nuova attività rilevando un marchio già noto e con uno specifico expertise in campo sportivo; si trattò di un intervento che, a metà anni 20 del secolo scorso, anticipò, quello che sarebbe stato l’intervento di Andrea Bonomi quasi 90 anni dopo.

Fu così che, con le più romantiche ed artigianali modalità di allora, l’azienda venne salvata una seconda volta assumendo il nome di “Aston Martin Motors” e venne trasferita a Feltham, già sede della società acquirente. Renwick e Bertelli possedevano talenti complementari, in base ai quali il primo assunse la direzione commerciale mentre il secondo si fece carico di quella tecnica; Bertelli si era infatti formato come progettista e pilota nel reparto corse prima alla FIAT (non dimentichiamo che le competizioni furono pane quotidiano per la Casa torinese sino al 1925 circa) e poi alla Ceirano.

Il quattro cilindri progettato da Bertelli e Renwick, un bialbero da 1.500 cm³, si dimostrò sin dagli esordi potente e affidabile, consentendo alle neo-nate Aston Martin di conseguire, in G.B. ed all’estero (già nel 1928 le Aston Martin parteciparono per la prima volta alla 24 Ore di Le Mans), una lunga serie di vittorie di classe e di ottimi piazzamenti (vanno ricordati i primi tre posti di classe conquistati nel 1933 sempre alla 24 Ore francese).  Va a questo punto ricordato che le vittorie di classe non bastavano più e che Bertelli guardava a bensì a quelle assolute da conseguirsi in gare di risonanza internazionale; la superstizione dell’uomo attribuiva la mancanza di questo tipo di risultati al classico Old British Racing Green nel quale le Aston (come del resto tutte le altre auto da corsa inglesi) erano dipinte; detto fatto, dal 1934 in poi le Aston ufficiali cambiarono livrea giustificando il loro rosso con il fatto che Bertelli rimaneva comunque un costruttore italiano; colore a parte le vetture così dipinte conquistarono numerose vittorie tanto da acquisire grande prestigio ed essere identificate sui campi di gara prima come “Auto Bertelli” e poi come Aston Martin.

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Bertelli mantenne la direzione tecnica della Aston Martin sino al 1939, anno del suo ritiro, ma già nel 1933 il controllo della Casa di Feltham venne acquisito da Arthur Sutherland che, a partire dal 1936, diede priorità alla produzione di vetture stradali delle quali vennero venduti – dal 1936 al 39 – circa 700 esemplari (140 solo nel 1937).

Con l‘arrivo della seconda guerra mondiale la produzione automobilistica venne sospesa a favore della costruzione di componenti per l’industria aeronautica. 

Brown dopo Bertelli ovvero dal 1950 al 1972 

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David Brown = DB ovvero la sigla con la quale l’uomo che acquistò nel dopoguerra la Aston Martin unendola alla Lagonda, volle contraddistinguere le vetture nate sotto la sua gestione. La gestione di Brown (1950-1972) fu caratterizzata da una parte da modelli che – dalla DB1 (così impropriamente chiamata; in realtà la denominazione ufficiale era Two litre Sports) alla DB6Kk II – ridiedero lustro al marchio segnandone la rinascita commerciale e dall’altra dalla ripresa dell‘attività sportiva con vetture GT e Sport ed un breve ma non particolarmente fortunato escursus in Formula 1.

Nel 1951 la DB2 conquistò il secondo e terzo posto assoluti alla 24 Ore di Le Mans, nel 1954, lo spostamento della sede da Feltham a Newport Pagnell coincise con il lancio della DB2/4 mentre tra il 56 ed il 58 arrivarono la DBR1 da corsa (la lettera R = Racing avrebbe contraddistinto tutte le vetture da competizione della Casa) la DB3 e la DB4.

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Nel 1959 la DBR1 conquistò il Campionato Mondiale Sport (all’epoca popolare almeno quanto quello di Formula1) ai danni della Ferrari Testa Rossa, sino ad allora protagonista nel tempo assieme a Jaguar C e D e Mercedes 300 SLR.

Nel 1960 arrivò la DB4, dalla quale derivò la meravigliosa versione Zagato, mentre il 1963 registrò il debutto della DB5 che l’anno successivo beneficiò del sodalizio con James Bond nel celebre Goldifinger. Un’unione, quella fra 007 e l’Aston Martin che, pur con qualche eccezione, è arrivata sino ai nostri giorni celebrando, l’anno prossimo le nozze d’oro. 

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L’Aston passa di mano in mano

1972, 1975 (arriva l’Aston Martin Lagonda), 1981, 1983, 1986 (nasce la V8 Vantage Zagato): ciascun anno registra un cambio di proprietà dell’Azienda, sino ad arrivare al 1987, anno nel quale la Ford acquisisce il 75% del pacchetto azionario per passare, nel 1993 (anno del debutto della DB7), al 100%; nel frattempo, siamo tornati al 1987, si ripropone l’unione di 007 con la V8 Volante nel film “The living Daylights” ed ancora, nel 2001, con la V12 Vanquish (Die another day, con Pierce Brosnan).

La gestione Ford dura esattamente 20 anni, dal 1987 al 2007, anno nel quale subentra il fondo mediorientale “Dare Adeem Investment”; comunque – dal 2003 al 2007 – arrivano sul mercato vetture quali la nuova V8 Vantage, la DB9, la V12 Vanquish S, le nuove edizioni della DB9 Volante e della V8 Vantage che ancora una volta affiancherà James  Bond in “Casino Royale” ma non solo: già nel 2005 l’Aston Martin era rientrata nel mondo delle competizioni GT con la DBR9 che nel 2007 e nel 2008 vincerà la propria classe alla 24 Ore di Le Mans (per le immagini rimandiamo il lettore al sito ufficiale: http://www.astonmartin.com/racing).

Il 2009 se da una parte vede la DBS nuovamente affiancata a 007 in Quantum of Solace dall’altra si segnala per il debutto della DBS in versione Vantage, per quello della nuova Rapide a Francoforte e per la presentazione, nell’incomparabile cornice del Concorso di eleganza di Villa d’Este dell’esclusiva One-77, vettura da quasi 1,2 milioni di euro prodotta in soli 77 esemplari numerati.

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Il triennio 2010-2013 continua ad essere caratterizzato da un tourbillon di nuovi modelli sia “di serie” che da competizione; in ordine cronologico abbiamo tra i primi la Cygnet, già illustrata in apertura, la V8 Vantage N420 (derivata dalla N420), la nuova Virage e la V8 Vantage S ed infine le nuove Vanquish e DB9; fra queste spicca – anch’essa presentata al Concorso di eleganza di Villa d’Este nel 2011 – la V12 Zagato.  Per quanto attiene alle vetture da competizione si segnala il sesto posto assoluto della LMP1 alla 24 Ore di Le Mans del 2010 mentre il progetto AMR-One sempre destinato alla LMP1 non ebbe, a vettura realizzata, venne accantonato a favore della prosecuzione del programma GT.

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La Casa di Gaydon ha voluto celebrare il suo centesimo anno di attività realizzando il prototipo CC100 per sottolineare la propria capacità di innovazione nel rispetto della tradizione sportiva del marchio sottolineando il DNA sportivo dell’intera sua progettualità (ecco il link al sito Aston Martin con il video relativo alla sua realizzazione: http://www.astonmartin.com/en/n24 cliccare in basso su Aston Martin CC100).  

Torneremo in argomento offrendo ai nostri lettori i “ritratti” di alcune fra le più significative vetture di questo iconico marchio inglese.

Giovanni Notaro