Nel 1951 vinse la gara bandita dall’Esercito Italiano e dimostrò le sue qualità, siglando il nuovo record, tutt’ora imbattuto, nel raid Città del Capo-Algeri
La storia dei 4×4 italiani del dopoguerra si sintetizza in una sigla, “AR 51” che racchiude la storia dell’eterna lotta progettuale e commerciale fra Fiat ed Alfa Romeo. Tutto nacque dal bando di gara indetto nel 1950 dall’Esercito Italiano con il quale si richiedeva la fornitura di veicoli polivalenti per impieghi speciali (in inglese MPV = Multi Purpose Vehicle), sullo schema della Willys Jeep impiegata dagli alleati nel corso della campagna europea del secondo conflitto mondiale.
In effetti allora non esisteva allora un prodotto italiano che si avvicinasse alle caratteristiche del fuoristrada americano il cui ricordo, era ancora freschissimo grazie anche ai molti esemplari ancora in circolazione sulle strade italiane.
Alla gara parteciparono sia Fiat che Alfa Romeo con due modelli che, corrispondendo entrambi ai vincoli posti dal capitolato tecnico del bando stesso, non potevano che essere del tutto simili nella loro impostazione meccanica ed estetico-funzionale; anche la cilindrata era simile: 1.900 cc per entrambi. La scelta cadde sulla Fiat ritenuta – nel confronto con la concorrente milanese – ugualmente efficace in fuoristrada ma di concezione e costruzione più semplici e quindi più facile e meno costosa negli interventi di manutenzione e riparazione.
Il confronto fra i due veicoli sarebbero però continuato in “abiti civili” e con denominazioni differenti: “Campagnola” per la Fiat che, al di là dell’apparenza civettuola voleva in realtà dare un chiaro segnale circa la destinazione professionale dell’auto mentre la creatura Alfa venne chiamata “Matta”, qualcuno vide un riferimento al jolly delle carte a sottolinearne la polivalenza mentre la tesi più accreditata riguarda l’aggettivo esclamato dall’allora Direttore Generale dell’Alfa Antonio Alessio quando vide il prototipo superare ostacoli ritenuti impossibili; da allora, questo soprannome divenne identificativo di uso comune.
Da ricordare infine che l’AR51 venne progettata da Dante Giacosa (“pilastro” intuitivo-tecnico autore di moltissimi dei successi Fiat) e che, dopo l’aggiudicazione della commessa militare, venne presentata al pubblico alla Fiera del Levante di Bari del 1951 e messa in vendita a 1.600.000 lire, prezzo tutt’altro che popolare nell’ancora vicino dopoguerra.
La preparazione (ricognizione del percorso a scendere: Algeri-Città del Capo)
Ed eccoci a fine autunno del 1951: la dirigenza Fiat decise di attaccare, con una Campagnola AR51, il record di velocità della traversata dell’Africa da Città del Capo ad Algeri. L’impresa fu portata a termine in 11 giorni, 4 ore, 54 minuti; un record ad oggi ancora imbattuto il che dovrebbe far riflettere quanti si ritengono chissà chi per aver partecipato a qualche moderno raid con tanto di assistenza, GPS, elicotteri e “camion scopa”… L’organizzazione del tentativo di record ed il ruolo di pilota vennero affidati a Paolo Butti, forte dell’esperienza maturata nel corso di precedenti rally in terra d’Africa, affiancato da Domenico Racca, collaudatore Fiat con profonda conoscenza della Campagnola, dei cui prototipo militare curò personalmente la messa a punto.
In realtà non si trattò “solamente” di percorrere il tragitto Città del Capo-Algeri bensì di effettuare prima il percorso al contrario, partendo da Algeri per raggiungere Città del Capo organizzando man mano le tappe ed i punti di rifornimento per il raid vero e proprio; fu quindi – per i componenti dell’equipaggio – una doppia traversata Nord-Sud-Nord del continente africano: all’andata con una Campagnola identica a quella poi utilizzata per il tentativo di record. Racca e Butti si avvalsero di due identiche Campagnole, una per ciascuna tratta in modo da utilizzare quella “fresca” (spedita da Torino mentre l’altra era impegnata nella ricognizione) per il tentativo di record.
Le due Campagnole vennero per l’occasione dotate di un corpo vettura chiuso – allestito dalla Carrozzeria Savio – che le modificò esclusivamente nella carrozzeria:
● montando una specie di hard top in lamiera con due vetri fissi laterali e portiera posteriore con vetro diviso; l’hard top, i lamierati laterali a supporto dei finestrini fissi, il telaio del parabrezza ed il telaio;
● incernierando le due portiere laterali in modalità antivento (cerniere anteriori al posto di quelle posteriori di serie);
● allungando leggermente lo sbalzo posteriore in modo da aumentare la volumetria interna.
Inoltre furono aggiunti:
● tre fari supplementari di profondità;
● una robusta bagaglieria sul tetto, destinata al carico di taniche di carburante, attrezzi e ricambi;
● un gancio di traino e relativo rimorchio (presenti solo sulla Campagnola destinata al viaggio di ricognizione).
Il viaggio di andata fu completato in 52 giorni superando diverse difficoltà anche grazie ad una catena di solidarietà sviluppatasi tra tutti gli italiani, e non solo, residenti lungo il percorso.
Si pensi ad esempio all’impegno della manutenzione quotidiana del mezzo di volta in volta a contatto con sabbia, pietre e fango che si infilavano dappertutto. Ogni sosta era buona per ripulire snodi, giunti e crociere, mentre gli intervalli per il cambio dell’olio, da effettuarsi a motore caldo, non superavano i 1.500 km; inoltre – sempre per restare in tema di stress meccanici – va ricordato che questa prima versione della Campagnola era equipaggiata con pneumatici stradali e che la trazione integrale poteva essere inserita solamente con le ridotte e non indipendentemente da queste come sarebbe avvenuto con la seconda versione; cose impensabili per chi oggi può selezionare le (tante) modalità di marcia premendo un pulsante…
Nel corso di questa discesa verso Sud i nostri viaggiatori furono costretti a sostituire prima il ponte posteriore e poi il cambio completo, spediti di volta in volta direttamente dall’Italia. Proprio a questo proposito, ed ai fini di una corretta valutazione degli strapazzi ai quali la vettura venne sottoposta, va ricordato che questa trainava un “rimorchietto” da 1.300 kg con balestre rinforzate e che l’equipaggio era formato non da due ma da quattro persone (Racca, Butti e signora ed Aldo Pennelli, operatore Incom la cui attrezzatura risultò determinante nell’adozione del rimorchio).
Questo viaggio di andata servì a sistemare tutti gli aspetti organizzativi, burocratici e logistici relativi al tentativo di record da effettuarsi a tratta inversa: dai punti di rifornimento di provviste e carburante ai punti di sosta, dalla pianificazione dei passaggi su traghetti nei fiumi senza guadi, sino all’anticipata acquisizione dei permessi di transito e dei visti per i diversi passaggi di frontiera.
Il tentativo di record (Città del Capo-Algeri)
La Campagnola con la quale effettuare il tentativo di record pervenne a Città del Capo direttamente da Torino, in coincidenza con il termine del viaggio di ricognizione
Ed ecco il ruolino di marcia [1]:
● Lunedì 21 gennaio 1952 ore 8.00: partenza da Città del Capo per Joannesburgh (arrivo ore 23.15) percorsi 1.474 km. Primo rifornimento e cambio conduttore 550 km dopo la partenza; a Joannesburgh cambio olio motore presso un distributore, media sino a quel momento, con pioggia nei primi 40 km di percorso, 96,90 km/h grazie al buono stato delle strade in gran parte asfaltate. Immediata ripartenza con la pioggia che riprende a cadere dopo Pretoria e fango che si alterna all’asfalto; nessun riposo uno guida e l’altro dorme e nuovo rifornimento a Messina [1] per evitare di farne in Zimbabwe (l’allora Rhodesia).
● Martedì 22 gennaio 1952 ore 7.00: superamento della Dogana fra Sud Africa e Rhodesia; poco dopo il motore inizia a rattare causa cattiva qualità del carburante precedentemente imbarcato. Svuotamento del serbatoio, ritorno in dogana per acquisto buoni carburante e ripartenza (perse 2 ore). Pioggia, sterrati scivolosi e prima foratura; ore 17.00:
arrivo a Victoria Falls [2], breve sosta in un garage reperito all’andata, controllo dell’auto e ripartenza: pioggia, fango, marce ridotte e sbandate accompagnano i nostri verso Livingstone al confine con la Rhodesia del Nord. La Campagnola – munita di disco di libero transito – aggira i controlli sino a Mufulira, insediamento che segna il confine con il Congo Belga. 7 le ore di ritardo sul ruolino di marcia e 3.860 i km percorsi; superato qualche problemino sorto in dogana nonostante la presenza del disco di libera circolazione, proseguono verso Elisabethville (oggi Lumumbashi) dove ricoverano la Campagnola presso la locale Concessionaria Fiat per la manutenzione ordinaria+cambio olio ed ingrassaggi. Arrivati con ben 40 ore di anticipo sul ruolino Racca e Butti si concedono un pasto e qualche ora di riposo; ripartenza sotto la pioggia; si guida per due giorni in condizioni precarie e con difficoltà di orientamento.
● Giovedì 24 gennaio 1952, ore 17.00: raggiunta la base di Kabinda (5.263 km percorsi); breve sosta e di nuovo in viaggio, ancora di notte. Inizia la zona dei fiumi.
● Venerdì 25 gennaio 1952 ore 19.00: arrivo alla Base di Stanleyville – ora Kisangani – (6.933 km percorsi). Ancora manutenzione in officina. Non c’è possibilità di traghettare fino alle 6.00: i due piloti sono obbligati a riposare qualche ora mentre altri pensano alla vettura.
● Sabato 26 gennaio 1952 ore 22.00: arrivo a Bangassu (7.683 km percorsi). Superata la dogana con il Congo entrano nell’Africa Equatoriale Francese (AEF) ora Repubblica Centrafricana. Sono 1.350 km infernali. Piste con profonde buche, temperatura fino a 55 gradi e difficoltà a reperire l’acqua.
● Domenica 27 gennaio 1952 ore 23.00: arrivo a Fort Lamy, ora N’Djamena (9.033 km percorsi); viaggiato per 162 ore alla media di oltre 55 km/h.
● Lunedì 28 gennaio 1952 ore 4.00 a.m.: tre ore di riposo e partenza; arrivo a Kano alle 19.00 (10.278 i km percorsi). Dogana inesistente, impossibile far apporre i timbri del passaggio sul carnet della vettura; problema risolto facendo sottoscrivere a 18 persone (molti italiani ed alcune autorità locali) una dichiarazione sostitutiva. Ripartenza notturna, l’asfalto termina dopo soli 50 km.
● Martedì 29 gennaio 1952: superate Zinder in Nigeria e la zona pre-desertica verso Agades, sabbiosa e con pista quasi invisibile, Racca e Butti sostano brevemente, oramai è notte, vicino ad un autobus della SATT il cui autista li informa dell’esistenza di vento che potrebbe eliminare le tracce lasciate dall’autobus; ciononostante i due ripartono e raggiungono l’isolata Agades dopo aver percorso 11.020 km. Tardo pomeriggio: dopo la solita manutenzione alla fida Campagnola, li aspetterebbero 12 ore di sosta obbligata in quanto “il codice Sahariano vieta di viaggiare di notte” ma per non perdere tempo, ripartono di nascosto e con due soli litri di acqua, assumendosi tutti i rischi conseguenti. A notte fonda soccorrono un veicolo in panne, lasciando agli occupanti viveri e metà della loro acqua. Ripartono e dopo 490 km nonostante qualche difficoltà di trazione e molti timori, alimentati da vento, sabbia e scarsa visibilità, raggiungono poco dopo le 23.00 dello stesso giorno l’oasi di In Guezzam (11.510 km percorsi) dove, non avendo la polizia di Agades avvisato della loro partenza quella di In Guezzam, vengono trattenuti ma, fortunatamente, solo per qualche ora.
● Mercoledì 30 gennaio 1952: la Gendarmeria permette loro di ripartire un’ora prima dell’alba. Il vento è cessato ma la sabbia finissima (il micidiale fech-fech ndr.) li rallenta sino a Tamanrasset che raggiungono comunque verso le 14 (11.960 km percorsi). Nuova dogana, nuovo pieno e alle 16.30 si riparte in direzione di Arak, raggiunta verso le 23.00 dopo 420 km (12.380 km percorsi). Superato il villaggio si impantanano in un canale, solitamente in secca, il cui fondo era stato fortemente imbibito dall’acqua proveniente da un lontano uragano. Visto che sono a notte fonda non ricevono alcun aiuto.
● Giovedì 31 gennaio 1952: cavatisi dai guai da soli, si rimettono in marcia verso il massiccio dell’Ahaggar ma vengono raggiunti da violenti scrosci di pioggia, forte vento e lampi accecanti che riducono la visibilità a zero mentre la pista sale sino a 2.000 metri d’altezza e loro debbono sgombrare a forza di braccia il sentiero dai massi che lo occupano. La notte è condita prima da un’impantanamento e poi dall’incontro con un torrente formatosi con la pioggia (probabilmente un’oued. ndr.) che tentano di guadare sprofondando nel fondo cedevole a soli 30 metri dalla sponda opposta. Con l’aiuto di un locale costruiscono, con pietre trasportate dalla corrente, due massicciate sulle quali far passare la Campagnola dopo averla sollevata con pietre e crick. Butti continua a non sentirsi bene e deve lasciare il lavoro a Racca ed al suo occasionale assistente ma ancora non è finita: le ore passate a fari accesi hanno azzerato la batteria ma il motore fortunatamente, riparte a manovella; ma quella notte sembra sceneggiata da Hitchcok: l’acqua sale e la forza della corrente inizia a demolire le due carreggiate e a quel punto Racca, mette in moto e, con il rischio di essere trascinato a valle dalla corrente montante, supera l’oued di forza!
Ripartiranno con nove ore di ritardo sulla tabella di marcia e raggiungeranno In Salah (12.770 i km percorsi) a mezzogiorno dello stesso 31 gennaio. Appreso che parte del percorso pianificato era impraticabile a causa delle piogge, seguono un provvidenziale percorso alternativo loro indicato dal comandante dell’oasi: raggiungono così Fort Mirabel e dopo 50 km incontrano il furgone dell’assistenza Fiat di Algeri che, “sapendoli in ritardo era andato loro incontro”. Butti e Racca raggiungono alle 19.00 l’oasi di El Golea dove cenano con il comandante dell’oasi, conosciuto all’andata. La macchina viene nel frattempo rifornita e, una volta pronta, sono di nuovo in viaggio lasciandosi alle spalle ben 13.195 km…
● Venerdì 1 febbraio 1952: dopo altri 575 chilometri su sabbia ed un totale di 13.770 km percorsi, raggiungono alle 7.00, tanto per cambiare sotto la pioggia, Laghouat, a soli 450 km da Algeri. Lì incontrano Aldo Pennelli, l’operatore della Incom che li aveva accompagnati all’andata, che filmerà gli ultimi chilometri e l’ingresso ad Algeri. Il piccolo Atlante, innevato prima di Algeri, è stato sgombrato proprio per loro dai trattori Fiat della CAMAN e ciononostante trovano “nebbia per circa 50 km e finalmente arrivano alla colonna VOIROL, luogo di partenza ed arrivo dei record precedenti: sono le ore 12 54’ 45” del 1 febbraio 1952” ed il precedente record è stracciato di ben due giorni, 10 ore e 51 minuti in meno: da Città del Capo ad Algeri sono stati percorsi in tutto, secondo le mappe di allora, 14.193 km riassunti nel documentario Incom realizzato dall’operatore Pennelli:
Paolo Butti, il Pilota morirà quattro anni più tardi a Torino, si ritiene di Febbre Gialla, mentre Domenico Racca, ben più longevo, ebbe modo di lasciare un diario piuttosto dettagliato dell’impresa.
Modellismo
La Barlux-BMG, un costruttore bolognese di modelli pressofusi, operante dal 1972 al 1983 (anno in cui venne rilevata dalla Jaditoys) produsse con un certo successo la Campagnola AR51/AR59 in diverse varianti fra le quali proprio quella del nostro articolo.
Si tratta di un modello in scala 1/25 ben fatto per il periodo nel quale è stato realizzato ma che al modellista di oggi appare piuttosto naif in particolare negli accessori esterni (pala estintori, taniche, bagagliera ecc.) ma che sta comunque attirando l’attenzione di qualche collezionista, tanto che la quotazione dei modelli meglio conservati – possibilmente in confezione originale – è in costante crescita.
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Chi ne desiderasse uno, può consultare e-bay o altri mercati on line con buone speranze di successo.
Dopo la Campagnola, la Panda!
Il raid del 1951 non venne mai più ripetuto da alcuno e quindi rimase imbattuto. Va tuttavia ricordato che per poter raccogliere fondi a favore dell’associazione no-profit Farm Africa gli inglesi Philip Young e Paul Brace hanno effettuato nel 2013 un nuovo raid con partenza sempre da Città del Capo ma con arrivo a Londra, a bordo di una Fiat nuova Panda a trazione anteriore con motore bicilindrico Twin air da 0,9 litri.
L’auto, praticamente di serie, è stata dotata di un serbatoio supplementare per il carburante, di 2 ruote di scorta supplementari, di un bull-bar e di fanali aggiuntivi sul frontale; sottoscocca e parti meccaniche sono stati protetti montando una slitta paracolpi, mentre l’aspirazione è stata modificata elevando la posizione del filtro. La “preparazione” si è conclusa con una spartana opera di “camperizzazione” consistente nell’eliminazione del sedile posteriore sostituito da un posto letto.
I due inglesi hanno attraversato complessivamente 12 Paesi in 10 giorni, 13 ore e 28 minuti grazie anche, e questo va sottolineato, ai lunghissimi tratti asfaltati o ben sterrati che i nostri eroi degli anni ’50 neppure si sognavano.
Giovanni Notaro
Fonti:
■ [1] Stralci dal Diario di Domenico Racca; i passaggi più telegrafici sono stati testualmente riportati ed evidenziati in corsivo:
http://www.autoruote4x4.com/it/1952_capetown_algeri.html#.U1zu1MvNvcs
Intervista a Maria Pia Racca + diario del padre Domenico
http://www.magix-website.com/mppo20/50/EEF/EEF89B5029F511DE80B1CD905D2638FC.pdf
■ [2] Le tribù Makololo chiamano le Victoria Falls (Parco Nazionale e Patrimonio dell’Umanità dal 1989) “Mosi-oa-Tunya” ovvero il fumo che tuona: basta guardare e ascoltare questo spettacolo nelle gole dello Zambesi per capire questo nome così suggestivo: 100 i metri di salto compiuto dall’acqua, 1.700 i metri costituenti la larghezza del fronte di caduta e 550.000 i metri cubi di massa precipitante in un minuto ed ecco ridicolizzate le pur imponenti cascate del Niagara il cui indotto a monte del resto non offre, all’alba ed al tramonto, lo spettacolo dell’abbeverata della varia fauna africana, nell’occasione sempre a rischio di attacco da parte degli onnipresenti coccodrilli
■ Così veniva chiamata quella località il cui altro nome, oggi universalmente adottato, era Musina.