Il 13 maggio 1950 Giuseppe «Nino» Farina si aggiudicò a Silverstone pole position, giro più veloce e vittoria: riviviamo debutto, gara e campionato 1950 caratterizzato dal primo «hat trick» della F.1 e dallo strapotere Alfa
Quel giorno scesero in pista quattro «Alfetta» affidate a Giuseppe «Nino» Farina, Luigi Fagioli, Juan Manuel Fangio (un trio che nel corso della stagione sarebbe stato soprannominato dal pubblico le «3F») e a Reg Parnell, pilota britannico scelto in onore del Paese ospitante la prima gara di Campionato.
Vinse Farina e le Alfetta occuparono anche gli altri due gradini del podio: lo strapotere Alfa sarebbe stato il motivo dominante sia dell’intero neonato Campionato 1951 che di quello successivo (conquistato da Fangio che pose così le basi per il suo memorabile palmares in Formula 1); molto sportivamente, gli inglesi lo sono sempre stati, Re Giorgio VI si congratulò personalmente con tutti i piloti della «squadra Alfa» per il risultato d’eccezione, ma andiamo con ordine.
Silverstone, a 40 miglia a nord di Londra, un velocissimo tracciato nato da un ex aeroporto della Royal Air Force, fu il teatro della straordinaria prova di forza offerta dal team Alfa Romeo; lì si disputò infatti il «III RAC British Grand Prix» che quell’anno venne denominato anche «Gran Premio d’Europa» ed ancora «Gran Premio di Gran Bretagna»; al di là della denominazione plurima, fu il primo Grand Prix della storia del Campionato mondiale di Formula 1 che quell’anno si disputò da 13 maggio al 3 settembre sulla distanza di 7 gare (6 in Europa alle quali si aggiunse la disertata 500 Miglia di Indianapolis).
Silverstone segnò l’inizio di una nuova era nel mondo delle corse: nei decenni successivi la Formula 1 diventerà la categoria «regina», un vero e proprio fenomeno «globale» seguitissimo dal pubblico, che in questi ultimi anni dimostrò tuttavia, e non a torto, minore affezione rispetto ad un passato anche recente.
L’Alfa Romeo, i suoi piloti ma anche, e forse soprattutto, la sua Alfetta, ebbero un ruolo determinante nel futuro successo di questo Campionato il cui regolamento tecnico allora prevedeva che le vetture potessero a scelta essere equipaggiate con un motore da 1,5 litri sovralimentato, oppure con un 4,5 litri ad alimentazione atmosferica senza alcuna limitazione o indicazione circa il limite di peso per le vetture, né per la quantità di carburante imbarcato.
L’Alfa aveva già in casa la 158, frutto di un progetto del 1938 ma ancora ben competitiva nel ’50 grazie al suo otto cilindri in linea da 1479 cc con compressore che, partendo da una potenza di 195 cv nel ’38 (già allora si superavano i 100 cv/litro!), nelle sue evoluzioni successive sarebbe arrivato al GP di Silverstone con quasi 300 cv che nel 1951, sarebbero diventati – sulla 159 – ben 425 in gara e sino a 450 in prova. grazie a un compressore a doppio stadio e a tutta una serie di altre migliorie.
Il dominio della 158 a Silverstone assume un elevato valore simbolico per la stessa Alfa Romeo: i successi sportivi dell’Alfetta fanno da volano alla rinascita dell’Alfa, risorta dalle rovine provocate dalla seconda guerra mondiale.
L’Alfetta 158 su l’arma assoluta italiana di quel primo Campionato Mondiale di cui il Biscione conquistò i primi tre posti con le «tre F», Farina, Fangio e Fagioli, seguiti da Rosier sulla Talbot-Lago e da Ascari su Ferrari.
Sintesi del campionato 1950
Benché monopolio Alfa, fu comunque – quello del 1950 – un campionato molto combattuto all’interno della stessa Scuderia del Portello che puntò su Fangio che, al contrario del «tutto ardimento» Farina, aveva senso tattico e rispetto della meccanica; a Silverstone, come già detto, vinse Farina che non si ripeté però nel successivo GP di Monaco che andò a Fangio il quale dominò una gara caratterizzata da un incidente che alla celebre curva del Tabaccaio, improvvisamente spazzata da un’onda che raggiunge la sede stradale, elimina in un colpo solo ben 10 vetture.
Farina rivince in Svizzera a Bremgarten ma Fangio conquista il primato a Spa e si ripete a Reims; teatro dello «spareggio» sarà a quel punto il Gran Premio d’Italia, sul velocissimo tracciato di Monza dove Fangio e Farina che arrivano rispettivamente con 26 e 22 in carniere; in quell’occasione Fangio fu fra i due il più sfortunato: dopo aver conquistato la pole in prova, dovette ritirarsi al 24° giro per noie al cambio; salirà – allora il regolamento ammetteva il cambio di vettura – sulla 158 di Piero Taruffi la cui meccanica cede però dopo 10 giri ed a quel punto Farina dovette solamente portare integra la sua Alfetta al traguardo; completerà il trionfo mondiale Fagioli che nella classifica iridata sarebbe potuto arrivare secondo se la «regola degli scarti» (già allora regole cervellotiche modificavano i valori in campo) non lo avesse relegato al terzo posto.
La 158
La 158 venne soprannominata Alfetta per le sue ridotte dimensioni unite a potenza, velocità, affidabilità ed estrema maneggevolezza, tutte qualità alla base di un mito a quattro ruote irripetibile per successi e longevità: 13 i suoi anni di «servizio», dal 1938 al 1950 tranne l’interruzione del periodo bellico.
La 158 venne progettata da nel 1937, da Gioacchino Colombo (progetto generale e motore) e Alberto Massimino (sospensioni e cambio), nelle officine della Scuderia Ferrari, che a quei tempi gestiva l’attività sportiva dell’Alfa Romeo; secondo una consuetudine del tempo, nella sigla 158 15 indicava la cilindrata (1.500 cc), ed 8 il numero dei cilindri; il motore era sovralimentato tramite compressore volumetrico Roots (a lobi) monostadio.
Messo al banco dimostrò una potenza di 180 cv a 6.500 giri al minuto, che diventarono 195 a 7000 giri/minuto in occasione della sua prima prova in pista. La prima evoluzione arrivò nel 1939 e portò la potenza a 225 cv a 7.500 giri/minuto; con l’irrompere della seconda guerra mondiale gli stabilimenti Alfa vengono convertiti per lo sforzo bellico ed il resto dell’attività si blocca completamente per riprendere solamente, e faticosamente, nel 1946
Sia come sia in quell’anno si torna alle corse e l’Alfetta, ulteriormente alleggerita (630 kg) e potenziata (254 cv a 7.500 giri/minuto), debutta vincendo, con Nino Farina, il I Grand Prix des Nations di Ginevra.
Nel 1947 si passa ad un compressore volumetrico Roots a doppio stadio che permette di raggiungere i 275 cv, sempre a 7.500 giri/minuto mentre nel 1948 si toccano i 315 cv, sempre a 7.500 giri/minuto.
Nel 1949 l’Alfa è costretta a dare forfait a causa delle morti in corsa di Jean-Pierre Wimille, sul quale la Casa milanese puntava anche per quell’anno e poco dopo di Carlo Felice Trossi per un male incurabile.
Nel 1950 si torna a correre, e vincere, con un’Alfetta 159 da 700 kg e 350 cv a 8.600 giri/minuto che, come abbiamo visto, si aggiudicherà con Nino Farina il 1º titolo di campione del mondo di Formula 1.
[ Giovanni Notaro ]