Evoluzione di un progetto nato nel 1936 e presentato al pubblico nel 1948: fra le due date la seconda guerra mondiale ed il «prelevamento» di due prototipi da parte dei nazisti
La 2CV ricevette il nome che l’ha resa celebre in tutto il mondo anni dopo il concepimento del suo prototipo che, nel 1936, venne denominato TPV (Toute Petite Voiture, ovvero «vettura molto piccola»); l’idea era quella di creare un mezzo robusto, economico e polivalente in grado di soddisfare le esigenze di un pubblico che non aveva mai posseduto un’automobile.
Nel ricordare ai lettori più giovani che all’epoca le auto si progettavano con carta, matita, regolo e poco più, la TFP fu progettata e costruita in soli tre anni da un’equipe capitanata dall’«anima» del progetto nonché Direttore Generale di Citroën Pierre Jules Boulanger, e da André Lefebvre, il geniale ingegnere capo che diede una forma ai sogni di Boulanger.
Nel 1939, sulla segretissima pista prove de «La Ferté Vidame», vicino Parigi, furono esposti circa 250 diversi tipi di TPV che Boulanger ispezionò una per una con estrema cura: “Questa è troppo bassa, questa ha il bagagliaio piccolo, questa è sicuramente troppo costosa, …”.
Le TPV scartate venivano tirate cinque metri indietro rispetto alle altre e del lungo schieramento di prototipi ne rimasero solamente una decina, tra pick-up, telai, vetture complete, tutti selezionati personalmente da Boulanger.
Tra queste si doveva selezionare quella da mandare in produzione nell’arco di un anno e questo nel rispetto di un programma che prevedeva di presentare la TPV al Salone dell’Auto di Parigi del 1940, o al massimo a quello del ’41, ma la sorte, vestita con le uniformi grigie della Wermacht o di quelle ben più sinistre delle SS, decise altrimenti: i tedeschi, aggirando la linea Maginot, invasero la Francia ed il patron di Citroën ordinò la distruzione di tutti i prototipi per evitare che cadessero in mani nemiche nel timore che l’auto potesse essere impiegata come mezzo da combattimento o spostamento truppe.
In realtà, i tecnici, disobbedendo a Boulanger, distrussero solo i prototipi scartati e conservarono una decina di vetture per proseguire gli studi, contando di lanciare l’auto definitiva a conflitto finito.
Delle dieci vetture, tre furono nascoste nel sottotetto di una palazzina nella stessa pista prove e lì sono state scoperte pochi anni fa, durante un rifacimento della copertura dell’edificio: attualmente si trovano nell’esatto stato in cui sono state ritrovate al Conservatoire Citroën.
Altre vennero smontate ma due caddero effettivamente in mano alla Wermacht che le trasportò in gran segreto a Wolfsburg, in Germania, dove Fedinand Porsche stava lavorando alla Volkswagen, l’auto del popolo voluta da Hitler e poi entrata in produzione per scopi bellici. I collaboratori di Porsche provarono le TPV ma fortunatamente le scartarono ritenendo che la loro leggerezza le rendesse inadatte ai campi di battaglia.
Nel frattempo, i tecnici Citroën continuarono lo sviluppo della vettura in gran segreto poiché nella fabbrica occupata era permesso costruire solo veicoli industriali, i progettisti lavorarono con tutte le cautele del caso dividendosi tra il Centro studi al 48 di Rue du Théâtre a Parigi e la pista della Ferté, dove poteva essere realizzato anche qualche prototipo.
Tra il 1941 ed il 1947 la futura 2CV prese la forma che oggi conosciamo. Innanzitutto, fu rivisto il motore, che nella TPV era un bicilindrico boxer raffreddato ad acqua. Grazie alla disponibilità della moto BMW di Flaminio Bertoni – lo stilista varesino già autore della Traction Avant ed anch’egli coinvolto nello sviluppo della vettura – il progettista italiano Walter Becchia ebbe modo di studiare il sistema di raffreddamento ad aria, ideale per semplificare ulteriormente la meccanica, eliminando così radiatore dell’acqua, pompa, manicotti e perfino la guarnizione della testata.
La TPV rispondeva a precise esigenze funzionali, definite da Boulanger come priorità assoluta nella progettazione di un’auto che (testuale) “non doveva essere bella”, al punto che Bertoni era stato escluso dalla fase iniziale della progettazione.
Quando, però, nel 1945 si pensò concretamente alla produzione della TPV, lo stesso Boulanger si rese conto di quanto fosse sgraziato il prototipo sopravvissuto alla lunga selezione da lui stesso operata cinque anni prima alla Ferté. Di qui la l’incarico a Flaminio Bertoni di «ingentilire» le linee di quel «brutto anatroccolo», cosa che fece trasformandolo nella simpatica 2CV che oggi tutti ben conosciamo.
Con la sua consueta velocità d’esecuzione, Bertoni scolpì nel gesso la futura 2CV, definendone la forma in maniera pressoché definitiva, eccetto per il cofano anteriore dove lavorò per settimane senza riuscire a ottimizzare il cofano anteriore.
In occasione del Salone dell’Auto del ‘46 Bertoni sospese il lavoro e chiamò Henri Dargent, suo assistente, dicendogli “andiamo Henri, andiamo a visitare il Salone, così vedremo cosa NON dobbiamo fare per finire il nostro lavoro”.
Al suo ritorno, nel giro di una mezz’ora, il cofano era pronto, realizzato inizialmente con lamiera ondulata per alleggerire al massimo la struttura mantenendone al tempo stesso la rigidità, modificato poi all’inizio degli anni ‘60 con l’uso di uno stampo con cinque nervature, poi arrivato intatto fino alla fine della produzione, il 27 luglio 1990.
Ecco qui, in poche parole la sintetica storia della TPV divenuta poi 2CV, concepita prima del secondo conflitto mondiale ma data alla luce proprio all’alba di una nuova era, iniziata con la fine delle ostilità e consolidata con la nascita di quell’Europa così intensamente voluta dallo stesso André Citroën.
[ Redazione Motori360 ]