In Italia si vendono tante auto quante se ne vendevano 35 anni fa. Per riavvicinarsi ai livelli pre-crisi ci vorranno ancora (se va bene) tre anni. Se ne è discusso all’Assemblea annuale Anfia
Lo scorso 18 dicembre si è svolto a Roma, presso l’Auditorium di Confindustria, l’evento di fine anno dell’Anfia (Associazione Nazionale Fra Industrie Automobilistiche). Il Presidente Roberto Vavassori ha ricordato che ”il mondo dell’autoveicolo è in costante crescita a livello globale”, ma ”alle aree in forte accelerazione, Cina e Stati Uniti tra tutte, si contrappongono Giappone ed Europa”. L’Europa occidentale, in particolare, ”ha recuperato a stento l’80% dei volumi del 2007, ed anche allungando lo sguardo fino al 2017 non recupera interamente questi valori”.
In parole povere: il peggio della crisi è (forse) dietro le spalle, ma le difficoltà ci sono ancora. A fine 2013, in Europa, ”si produrranno 3 milioni di veicoli in meno rispetto al 2007”. Ma pur in questo scenario l’industria automotive – ha precisato Vavassori – continua a essere un pilastro della manifattura europea. Circa 13 milioni di cittadini europei dipendono direttamente o indirettamente dal lavoro della nostra filiera e il nostro settore – ha precisato – è il principale innovatore a livello continentale, con oltre un quarto dell’investimento in innovazione e sviluppo pari a oltre 32 milioni di euro per anno e oltre 9.500 brevetti realizzati”. “Anche in Italia – ha precisato il presidente dell’Anfia – la filiera dell’auto dà lavoro a circa 1,2 milioni di addetti ed è il maggior investitore privato in innovazione e sviluppo con 2 miliardi di euro l’anno”.
La situazione italiana
Ma in Italia, come ben sappiamo, le cose sembrano andare un po’ diversamente dal resto d’Europa. E il rischio maggiore è quello di non “riagganciare” la ripresa, quando arriverà. ”La produzione di autoveicoli – ha spiegato Vavassori – si è progressivamente assottigliata fino ad arrivare alle circa 400mila vetture del 2012, ovvero 500mila vetture in meno rispetto a cinque anni fa (-56%). E nel 2013 la stima è di 350.000 vetture prodotte”. Vavassori ha precisato che ”il trend del rapporto tra autovetture prodotte e immatricolate negli ultimi 6 anni è negativo” e ”in Italia si produce appena il 28% dell’immatricolato, cioè solo una vettura su quattro”, quando invece Spagna e Germania – rispettivamente con una produzione del 220% e 175% – riescono non solo a “coprire” il mercato interno, e a esportare gran parte della loro produzione.
Ma torniamo in Italia: qui il mercato ha perso il 44% in volume dal 2007 al 2012 e, nel 2013, chiuderà con una contrazione di oltre il 7%. Le stime di fine anno sono per 1,3 milioni di auto vendute: più o meno, quante se ne vendevano nel periodo 1978-1979, quando ancora la seconda auto in famiglia non era diffusa in tutto il Paese, e quando il modello più venduto era la Fiat 127, assieme alla Ritmo, le grandi Alfa avevano la trazione posteriore e la Panda non esisteva ancora. E si tratta, a ben vedere, di stime ottimistiche: perché si riteneva, fino allo scorso mese, che non si andasse oltre 1,25 (ovvero, un milione e 250mila vetture) ma bisogna valutare, come ha recentemente dichiarato Massimo Nordio, Presidente Unrae, a “Il Giornale”, a quali condizioni sono state vendute le 50mila auto saltate fuori all’ultimo momento. Secondo le previsioni di lungo termine, il mercato dell’auto in Italia raggiungerà di nuovo 1,8 milioni di autovetture nuove vendute solo nel 2017, “grazie al progressivo invecchiamento del parco auto, che gli anni di crisi stanno determinando” ha concluso Vavassori.
Che fare?
A quanto pare, ci vorranno quindi tre anni – se basteranno – per riavvicinarci ai “bei tempi” di quando la crisi non era ancora iniziata. Ma che cosa è possibile fare, per far sì che questo rilancio del settore sia una certezza, e non un’eventualità prospettata dai grafici o dai “soliti” economisti? Il Presidente dell’Anfia ha chiesto al Governo una serie di interventi. Tra i primi c’è quello sulla fiscalità dell’auto, ”giunta a quasi 73 miliardi di euro l’anno”, che va resa ”meno opprimente e più capace di promuovere gli investimenti in tecnologie ecologiche fatti dall’industria negli ultimi anni, abolendo gli inutili balzelli recentemente introdotti, quali il superbollo, e l’assurda diminuzione dei vantaggi fiscali per le auto aziendali”.
All’Assemblea Anfia era presente il Sottosegretario allo Sviluppo Economico Claudio De Vincenti: ”Per ridare stabilità al mercato dell’auto non pensiamo ad incentivi ma a interventi strutturali, che portino a tassi di rotazione sempre più elevati e all’abbassamento dell’età media dei veicoli”. “E proprio di tali interventi strutturali – che comprenderanno anche il sostegno alle flotte aziendali e pubbliche, ha aggiunto De Vincenti, si parlerà alla Consulta Automotive, di cui si sta predisponendo il decreto di formalizzazione”.
La richiesta del tavolo per il rilancio del settore, che riunisce tutti i rappresentanti della filiera automotive ed i ministeri coinvolti, era stava avanzata dall’Anfia proprio in occasione dell’assemblea dello scorso anno all’allora premier Mario Monti. Ad accoglierla però è stato il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato: e infatti la Consulta Automotive è comunque operativa, e il 10 gennaio si riunirà sulle tematiche industriali e, pochi giorni dopo, anche sulle tematiche del mercato dell’auto.
Andare oltre
Di cose da fare per rendere più accessibile la burocrazia dell’auto, riducendone i costi e le tasse, e permettere agli italiani di poter gestire senza svenarsi quello che, nel corso dell’esistenza, è il bene di maggior valore dopo la casa, se ne possono fare molte. Anche per incentivare la possibilità (e, perché no, anche il piacere) di poter cambiarla quando giunge il momento, o quando si desidera farlo. Di strade da percorrere, a ben vedere, ce ne sono tante. Basti pensare, ad esempio, alle ipotesi di abbattimento dei costi di vendita dell’usato, così come la riduzione del bollo per le auto con oltre 10 anni di vita (come avviene in Francia), e la possibilità di dedurre tutte le spese per l’auto, anche da parte dei privati. È impossibile pensare che non si possa attuare anche in Italia, per i possessori di più auto, lo schema “tante auto, una sola targa”, come avviene in Svizzera (dove è possibile spostare la stessa targa fra più auto, purché quella che rimane senza sia ricoverata in uno spazio privato).
Un grande passo avanti è ravvisabile dai cambiamenti imposti con il recentissimo avvio della riforma che porterà all’unificazione del PRA, il Pubblico Registro Automobilistico. E gli effetti indotti dal progressivo smantellamento delle Provincie, finalmente sulla rampa di partenza e la conseguente, ipotizzabile riduzione delle cifre oggi dovute per l’IPT, costantemente aumentate negli ultimi anni.
In Italia, purtroppo, se da un lato non è mai esistito un “partito dell’auto”, che sapesse canalizzare la voce della categoria fiscale che, negli ultimi decenni, si conferma come la più tassata, vale a dire, quella degli automobilisti, dall’altro si è assistito a una frammentazione della classe politica, che ha impedito decisioni univoche sull’argomento. Ma c’è di più: la stessa politica, preoccupata di aumentare costantemente la spesa pubblica, per far fronte a una macchina statale e amministrativa sempre più imponente, si è ritrovata coesa, e neanche tanto paradossalmente, nell’utilizzare l’auto come un inesauribile “bancomat”. I risultati di questo perverso circolo vizioso sono quelli che ben sappiamo (deficit al 135%, debito pubblico di oltre 2.000 miliardi, ecc.). L’irripetibile concorso di circostanze, dato dalla situazione economico-finanziaria incombente, dallo scenario politico in continuo divenire e anche dal forzato nuovo ruolo di ACI (che potrebbe avere, finalmente, quella stessa spigliatezza di ADAC, TCS e altri Automobile Club europei, nella difesa dei diritti degli automobilisti), determina di fatto già da ora uno scenario favorevole per quei cambiamenti a lungo annunciati ma da sempre rimandati. Tutto sta ad approfittarne, con scelte coraggiose, “togliendo da una parte e mettendo dall’altra” (come ha sottolineato Massimo Nordio intervistato da Pierluigi Bonora su “Il Giornale”) e, soprattutto, facendo venir definitivamente meno l’accanimento verso l’auto, che con la contrazione dei servizi pubblici e i costi per gli spostamenti di lunga distanza è sempre più un bene necessario ma, stranamente, è ancora colpevolizzata come un bene di lusso.
Alessandro Ferri