Ai libri della Manicardi già editi da ASI Service -“Giulio Alfieri l’Ingegnere” e “Fabio Taglioni, la Ducati, il Desmo” – va ora ad aggiungersi la storia della vita di “Neftali Ollearo” anima di una Casa motociclistica da decenni ormai scomparsa, ma la cui opera merita un posto nella storia del motorismo.
“È un libro – dice Nunzia Manicardi – che si avvale anche della ricca documentazione integrale, in gran parte inedita, dell’Archivio delle Famiglia Ollearo. E che, soprattutto, riporta alla ribalta un personaggio di cui finora tante cose erano ignote. Era ignoto, soprattutto, il sogno vero della sua vita, quello ‘grande’, che non riuscì a realizzare ma non certo per suoi demeriti: quello di fare di Torino la capitale anche dell’industria motociclistica e, in particolare, di quella utilitaria di alto livello. Ed era andato ormai perduto anche il ricordo di quell’intenso lavoro organizzativo che aveva fatto di lui un protagonista del Moto Club Torino ”
L’attività del valdese Neftali Ollearo – nato a Piverone, in provincia di Torino, l’8 luglio 1896 e morto a Torino il 2 giugno 1962 – iniziò a Torino nel 1920 in una piccola officina di Corso Valentino 33 – oggi Corso Marconi dove per molti anni al numero 10 ebbe sede la Fiat . Riparazione cicli e motocicli, nient’altro. Continuò poi in uno stabile di Via Mezzenile n. 13 che egli acquistò trasferendoci anche l’abitazione della propria famiglia, che ancora la possiede.
La Ollearo fu una Casa minore, almeno a livello quantitativo, ma molto rinomata per l’altissima qualità e abilità commerciale, grazie alle quali ai suoi tempi venne ad assumere un ruolo di primo piano tra le centinaia di analoghe realtà piemontesi riuscendo ad imporsi anche a livello nazionale.
Dalle biciclette a motore da 132 cc. (anche nel “Tipo Lady” per ecclesiastici) passò alle motoleggere 175 cc. a 2 tempi e poi costruì un formidabile nuovo motore: il 4 tempi monocilindrico, longitudinale anziché trasversale come più di consueto, compatto, racchiuso, elegante anche da vedere, forte, economico, indistruttibile, indefettibile… Aldo Farinelli, su “Motociclismo”, lo definì “un autentico capolavoro di meccanica motociclistica”.
Aveva la trasmissione a cardano, che da allora Ollearo non abbandonò più facendone un proprio elemento distintivo. Montò questo suo bel motore anche su tutte le cilindrate maggiori (500 cc. “Perla”, 350 cc. “Sirena” e 250 cc.) coniando per esse, con grande consapevolezza, lo slogan: “La prima delle moto di domani”. Nel frattempo produceva pure utilissimi e capacissimi motofurgoncini e, nel 1933, le motocarrozzate, o motovetturette, a 3 ruote con carrozzeria automobilistica cabriolet trasformabile in torpedo che si guidavano anch’esse senza patente. Ma la nascita e la diffusione della “vera” utilitaria (la Fiat Topolino nel 1936 ) le misero subito fuori gioco, impedendo in svariati modi che potessero svilupparsi al di là dei primi, interessantissimi, bellissimi modelli. Più tardi la Fiat lo “risarcì” commissionandogli delle trasformazioni automobilistiche di proprie vetture (soprattutto 500 Topolino di serie e 1100) che Ollearo elaborò, con soluzioni intelligenti e originali, prima a 2 assi e poi a 3 assi. La Seconda Guerra e il dopoguerra non furono facili. Ollearo riuscì ancora a produrre un “gioiellino”, un motorino ausiliario per bicicletta da 48 cc.
Curava tutto lui, personalmente. Lui stesso era un fabbro fenomenale (ma era anche titolare di un gran numero di brevetti d’avanguardia!). Tutto era fatto in proprio e in famiglia, con il fratello Marco, con i figli Roberto ( due volte campione italiano di sidecar con la Suzuki – e poi Presidente della Commissione Tecnica Nazionale Moto A.S.I. ), Silvio (oggi vivente) e Lidia, con la cognata Eva Marzone ( prima donna-pilota di Torino), con la moglie Ester.
Affidabilità, sicurezza e comodità completavano il quadro di una produzione Ollearo che è rimasta nel settore di “nicchia” soltanto per i limiti economici del costruttore, il quale oltretutto profuse la gran parte del suo patrimonio personale inseguendo invano quel sogno di fare di Torino il “polo” della produzione di motociclette di tipo utilitario ad alto livello tecnico ed estetico. In questo, solo in questo, fallì; o forse lo fecero fallire. Ma ciò non fa venir meno il valore dei suoi risultati e anche dei suoi sforzi che in questo libro, vengono portati alla luce come meritano.