Una vettura che attualizza il messaggio della «Deesse» del 1955 e che conferma l’inconfondibile stile del Double Chevron nel progettare un’autovettura
[imagebrowser id=262]Per quest’auto Citroën ha riutilizzato la sigla della mitica «deesse» che nel 1955 divise il pubblico del Salone di Parigi ammirato o perplesso d’avanti ad un’auto tanto innovativa e «di rottura» per quei tempi. Tra l’antenata del 1955 e l’oggetto del nostro test troviamo la C-SportLounge, (Francoforte, 2005) una concept-car che, come 50 anni prima fece la «deesse», ha attirato moltissimi sguardi e diviso altrettanti animi, servendo comunque da ispirazione per l’attuale DS5.
Esterni
Primo mattino di una giornata nebbiosa; cemento, cristallo e acciaio fanno da sfondo alla protagonista della nostra prova. Un sole ancora freddo trasforma la nebbia in vapori sfilacciati dai quali emerge una silhouette argentea che sembra pronta al decollo. Questo «shooting-break» in effetti ricorda, con i suoi esterni avveniristici (ma ancor di più negli interni) uno «space-taxi» pronto a decollare per allontanarsi da convenzioni e stilemi classici. La silhouette è in effetti innovativa, un mix di linee arrotondate e tese sapientemente utilizzate per chiedere a sguardi sorpresi di trasformare l’iniziale perplessità in incondizionata approvazione.
La DS 5 più di altre auto si rivolge a chi in essa si identifica fortemente e vuole, attraverso l’acquisto, sottolineare la propria personalità; può essere l’auto dell’architetto di grido come del professionista affermato ma non più «trentenne» che decide di rompere con l’ovvio, ma anche l’auto del commerciale che deve macinare velocemente chilometri in economia, sicurezza e comfort ed infine, tanto per restare in famiglia, della moglie, che la condivide con il consorte per amore del grande bagagliaio, o del figlio, che la sottrae alla patria potestà per fare bella figura con ragazza ed amici. Protagonista assoluta del frontale è la grande calandra che ospita i double chevron cromati e le prese d’aria ai lati del fascione al di sopra del quale terminano i due importanti gruppi ottici carenati, né si possono non notare, e la cosa è voluta, le vistose modanature cromate che danno una continuità alla distanza corrente fra gruppi ottici e montante dello sportello. Le nervature sul cofano motore movimentano una superficie che, se completamente liscia, sarebbe stata banalmente monotona. La vista laterale evidenzia l’andamento progressivamente più affilato della fiancata verso la coda; l’importanza della zona frontale viene in effetti sfumata da fiancate dinamicizzate da una decisa nervatura – a nostro avviso l’elemento che caratterizza l’intera fiancata – che partendo al di sotto del primo finestrino laterale anteriore, percorre entrambi gli sportelli per concludere la sua fuga alla fine dello sportello posteriore, sfuggendo verso l’alto come una virgola al contrario. Su tale elemento di discontinuità si innestano contemporaneamente il montante dello sportello ed il taglio inferiore della superficie vetrata finale del padiglione. La coda, pur importante come il frontale, è a suo modo più slanciata, merito ovviamente dei designers che hanno saputo sapientemente alleggerirla giocando sui tre elementi che la caratterizzano: la linea dei gruppi ottici, la cui ampia superficie laterale si affina verso l’alto all’interno della sagoma del cofano, l’andamento plongeant della parte finale del padiglione con il basso lunotto che percorre l’intera larghezza del cofano e si unisce, senza alcuna apparente interruzione strutturale, alle due «luci» laterali oscurate, ed infine al taglio deciso del motivo orizzontale che caratterizza, anch’esso a tutta larghezza, la parte bassa del fascione ed ospita i due terminali di scarico cromati la cui geometria sembra richiamare quella di qualche berlinetta sportiva di Sant’Agata bolognese senza peraltro stonare (anzi!) nello specifico contesto.
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Interni
Lo «space-taxi» si rivela tale anche al suo interno: è innegabile l’ispirazione aeronautica tanto nel design asimmetrico della plancia, più orientata al «pilota» al quale riserva un maggiore avvolgimento rispetto al passeggero, quanto nella strumentazione che, se da una parte è tutto sommato classica, dall’altra esibisce l’Head-Up display che emerge dalla palpebra superiore del cruscotto una volta premuto «Start», sino all’ampia console centrale che, a parte la leva del cambio, ospita una serie di comandi tutti facilmente raggiungibili e fruibili, segno di un accurato studio ergonomico (DNA della Casa francese). Efficace il climatizzatore automatico bi-zona assai facilmente gestibile che tuttavia presentava l’inconveniente – ci auguriamo circoscritto all’esemplare in prova – di una eccessiva rumorosità della ventola azionata nella fase di sbrinamento del parabrezza; altro piccolo appunto riguarda l’assenza di un vano portaoggetti sul tunnel centrale, mancanza però mitigata dalla presenza di un vano di buona capacità al di sotto del poggia braccio centrale e di due piccoli scomparti per gli occhiali collocati nella plafoniera superiore; questa rappresenta un ulteriore coup de théatre anch’esso d’ispirazione aeronautica tanto da ospitare, a parte due vani portaocchiali, una serie di comandi secondari e delle luci piuttosto potenti; ma a dire la verità è l’intero cielo del padiglione che continua a stupire con il suo tetto vetrato, diviso in tre porzioni, due anteriori sdoppiate ed una posteriore doppia che, fatte scorrere le tendine elettriche, permettono alla luce solare (o al plenilunio) di penetrare all’interno. Una volta seduti cerchiamo – e troviamo – la corretta posizione di guida grazie al volante registrabile in altezza ed alle numerose regolazioni elettriche memorizzabili in due posizioni del sedile (che nella versione top può anche massaggiarci la schiena…). Tutti i comandi sono a portata di mano e, nel complesso, abbastanza intuibili.
Discorso a parte per le ricche dotazioni elettroniche di bordo: non si può pensare di mettersi alla guida di una vettura come questa senza avere una minima dimestichezza con sistemi multimediali quali il lettore DVD, il sistema Wi-Fi OnBoard, l’impianto Hi-Fi DENOM con tecnologia surround, ed infine, l’ampio navigatore MyWay da 7” pollici. Ci soffermiamo proprio su quest’ultimo, commutabile in schermo della telecamera di manovra, ne notiamo la grafica ben visibile, buona la dotazione di mappe che sono risultate aggiornate perlomeno per quanto attiene ai diversi nostri percorsi di prova e facili le modalità di utilizzo. Passando all’impianto stereo, ne abbiamo rilevato agli alti volumi l’ottima acustica sui toni alti e bassi mentre quelli medi risultano un tantino appiattiti; a volume normale la situazione appare più equilibrata e comunque più che soddisfacente.
Il divano posteriore, molto comodo per due adulti ma solo sufficiente per tre, è servito dalle piccole tasche ricavate nei pannelli laterali degli sportelli, dalla cappelliera a copertura del vano bagagli e da due retine ricavate nella parte bassa degli schienali anteriori; queste, se riempite oltre una certa misura, interferiscono con i poggiatesta degli schienali posteriori in caso di ripiegamento. Comunque, e indipendentemente dalla versione scelta, le finiture ed i materiali (plastiche, panno, pellami, alluminio e moquette) sono sempre di alto livello, stilizzati e lavorati in modo da restare, come la linea dell’auto, fuori dal coro. Veramente spazioso e ben rifinito il vano bagagli (453 litri), sfruttabile grazie alla sua altezza ed alla sua forma regolare ed ampliabile sino a 1.288 litri abbattendo gli schienali del sedile posteriore.
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Tecnica
Oggetto del test è stata la versione 2 litri turbo-diesel Common Rail a 4 valvole per cilindro da 163 cavalli e coppia massima di 340 Nm a 2.000 giri/minuto, accoppiato ad un cambio automatico a 6 marce. Questa versione, omologata Euro5, emette 158 g/km di CO2. La versione con cambio manuale emette ben 25 grammi in meno a chilometro. Riteniamo la circostanza legata alla logica di funzionamento del cambio automatico che impone il passaggio al rapporto successivo ad un regime mediamente superiore a quello utilizzato quando si è in manuale. Altre cose che non ci convincono, ma qui entriamo probabilmente nel campo delle logiche di costo industriale e marketing, è la mancanza sia dello Stop&Start, presente di serie solamente sulle versioni ibride, e sia della trazione integrale non offerta neppure come opzione pur essendo le due versioni equipaggiate con la medesima unità motrice.
L’auto è lunga/larga/alta 453/187/150 cm (passo 273 cm) ed ha una massa di 1.615 kg con conducente a bordo, mentre il peso rimorchiabile è di 750 kg senza freno e 1.500 frenato ma non crediamo che in Italia si vedranno molte DS 5 con rimorchietto o roulotte al seguito… Ciclistica: le sospensioni anteriori sono Pseudo McPherson a ruote indipendenti con barra antirollio; l’assale posteriore è a traversa deformabile e barra antirollio. La frenata è assicurata da 4 dischi flottanti da 340×30 sull’anteriore di tipo ventilati e 268×12 posteriormente. Lo sterzo, elettroidraulico, contiene il diametro di sterzata in meno di 12 metri.
Su strada
Diciamo subito che l’auto – pur dimostrando, quando serve, una certa agilità e verve sufficiente a trarsi d’impiccio in caso di necessità – non ha grandi velleità sportive. Prevale dunque un DNA da grande routiere: un mix di velocità in souplesse, comfort e sicurezza, riscontrabile proprio quando si percorrono distanze medio-lunghe ed è per questo che abbiamo ricordato nel titolo la Deesse del 1955. Dopo pochi chilometri ci si rende conto che la DS 5 è votata ad una «dinamica comodità» che non alla sportività.
Il propulsore a gasolio riesce a fornire buoni spunti sotto sorpasso ed offre allunghi notevoli ma non è coadiuvato dal cambio, indipendentemente dalla modalità adottata (automatico, «S», manuale) a meno che non si viaggi in relax; in queste condizioni il cambio – non sollecitato – dà il meglio di sé: la dolcezza negli innesti rende i cambi di marcia appena percettibili. D’altra parte i 10,9” necessari per raggiungere i 100 km/h da fermo dicono tutto soprattutto se raffrontati ai tempi di accelerazione offerti da alcune altre berline 4 porte di analoga cilindrata ed alimentazione. Non abbiamo scritto “altre berline di analoghe caratteristiche” proprio perché la diversità è la caratteristica principale di quest’auto che, sempre ma positivamente contraddittoria, offre comunque minore comodità rispetto alle sue celebri antenate Deesse e Cx. Le ottime ma troppo complesse ed antieconomiche sospensioni «idroelastic d’antan» sono rimaste nel cassetto della memoria e quelle adottate oggi, peraltro molto efficaci, sono di tipo tradizionale.
Il complesso cerchio-gomma (235/45 R18) se da un lato contribuisce non poco alla buona agilità della vettura dall’altro non assorbe le asperità come farebbe un pneumatico con spalla più alta. Questo vale ovviamente sui percorsi urbani sempre più ricchi di crepe, buche e tombini e su certe strade provinciali abbandonate a loro stesse da tutti tranne che dagli autovelox. Il discorso, come si sottolineava qualche riga sopra, cambia radicalmente sui fondi lisci tipici, oramai, di qualche superstrada o qualche tratta autostradale. In queste condizioni l’auto copia la superficie stradale efficacemente ma con un leggerissimo effetto gelatina che molto dà al comfort e nulla toglie alla sicurezza: grazie al bel lavoro del complesso ruote/sospensioni e dello sterzo, sufficientemente preciso e reattivo, una volta in appoggio l’auto non si sposta di un millimetro dalla traiettoria imposta; ovviamente l’efficacia del servosterzo si apprezza sia in città e sia su provinciali tortuose; emerge comunque una leggera tendenza al sottosterzo anche se il comportamento di fondo è sempre sincero. Limitati i movimenti «di cassa» (rollio e beccheggio) mentre i controlli elettronici di stabilità e frenata non sono mai invasivi; più che buono anche l’impianto frenante sempre efficace e ben modulabile e poco soggetto a fading. Completiamo quindi il quadro precisando di aver brevemente attivato e positivamente testato il programma «neve» che agevola la partenza e lo spostamento su fondi inconsistenti.
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Coma va su asfalto bagnato
In particolare – a parte la buona prova su strada sotto pioggia battente, con presenza di ristagni da acquaplaning – abbiamo superato senza problemi una ripida rampa in cemento resa viscida dalla pioggia, più difficile da superare senza questo ausilio, e tratti stradali invasi a tutta larghezza per svariate decine di metri da fango argilloso reso ancora più scivoloso da pioggia leggera. Il climatizzatore contribuisce efficacemente al comfort complessivo della vettura (non possiamo esprimerci sull’efficacia estiva ma se tanto ci dà tanto…). Buono l’isolamento acustico che consente di tenere toni del tutto normali nonostante un lieve rumore di sottofondo dovuto al rotolamento degli pneumatici ed al motore che ogni tanto fa sentire la sua voce. In quattro si viaggia veramente molto comodi; se i tre occupanti del divano posteriore sono adulti di buona stazza, occorre stringersi un pochino. La visibilità è complessivamente ottima, tuttavia va evidenziato che il montante centrale fra i due sportelli può ostacolare la visione della strada sul lato destro in caso di immissione da una laterale su una principale; e che le dimensioni minime del lunotto, tutto sviluppato in orizzontale, hanno costretto al montaggio di un piccolissimo tergilunotto che, in caso di pioggia, deterge solamente la superficie di un ventaglio… Chissà che in occasione di un futuro restyling qualcuno non pensi di montarne due oppure studiare un qualche movimento a pantografo che possa far guadagnare qualche centimetro di visuale in più; dopotutto si tratta di sicurezza.
Consumi
Per la voce consumi partiamo, come è logico, da quanto dichiara la Casa: 7,9 l/100 km in città, 5,1 extra urbano e 6,1 nel misto. In realtà se non si fa attenzione, in città si possono consumare all’incirca 8,4-8,8 litri per 100 km, non molto distanti dai 7,9 dichiarati ma si sa che le norme per la rilevazione dei consumi non sono allineate alla realtà e le Case (tutte) a queste si attengono, perlomeno sino a che qualcuno non vi metterà mano. Per quanto riguarda le percorrenze fuori città (non autostradali), attenendosi scrupolosamente ai limiti di velocità e mettendo un uovo sotto l’acceleratore, si riesce anche a contenere i consumi abbondantemente al di sotto dei 6,3-6,9 litri per 100 km. A dir la verità con l’opzione «neve» ed il cambio in manuale abbiamo per lunghi tratti letto sul computer di bordo consumi istantanei fra i 3 ed i 4 litri/100 km. La capienza del serbatoio fa il resto: con 60 litri conditi dalle citate accortezze quasi ci si scorda di quando si è fatto il pieno precedente.
In conclusione un’auto complessivamente piacevole e comodissima per 4 adulti che, oltre a trasmettere una bella sensazione di sicurezza, offre anche un’aura di unicità, spesso determinante ai fini dell’acquisto.
[ Tony Colomba ]
Servizio fotografico: FotoAF | asaphoto: Roberto Bergamini